domenica

VENT'ANNI DOPO.




Aprile 1992-Aprile 2012 : sono passati venti anni esatti. E già allora, nel 1992, c'era già chi diceva: attenzione, l'impianto cocleare va fatto con cautela...



TUTTOSCIENZE (APRILE 1992)
“Gli impianti cocleari: soluzione delicata che non va bene per tutti”




CON una vena di sensazionalismo, stampa e televisione si sono recentemente occupate dell' impianto cocleare: un dispositivo che viene applicato chirurgicamente nell' orecchio interno del sordo totale per riabilitarlo. Secondo quei servizi giornalistici si tratterebbe di una novità quasi sconosciuta nel nostro Paese e che verrebbe da oggi, costi a parte, messa a disposizione dei non udenti. Questa informazione è inesatta. Già da dieci anni esiste una rigorosa e documentata esperienza italiana sull' impianto cocleare. Nel 1983, con il primo intervento per impianto cocleare eseguito dal professor Babighian a Trento, e poche settimane dopo con un secondo paziente operato dal professor Zini, venivano acquisite esperienze dirette in materia. Fino ad allora in Europa solo il francese Chourad e il viennese Burian avevano elaborato e applicato un loro tipo di impianto cocleare. In Italia inizialmente si era adottato un dispositivo monopolare (Impianto House/3M), allora il più diffuso negli Stati Uniti, che consentiva al paziente operato un buon reinserimento acustico nella vita sociale e lavorativa, permettendogli di udire suoni e rumori ambientali e anche, con l' ausilio della lettura labiale, parole e frasi. Dato non trascurabile, l' impianto House aveva superato i rigidi criteri di approvazione dell' Agenzia di controllo americana, la Food and Drug Administration. A Trento furono trattati con questo sistema nove soggetti adulti sordi totali postlinguali, frutto di una selezione particolarmente impegnativa tra una cinquantina di potenziali candidati. Dal 1983 è operante la fondazione del Gruppo Impianti Cocleari Italia, un gruppo pilota di specialisti, coinvestigatori della House Ear Institute di Los Angeles, che eseguì con successo negli Anni Ottanta circa venticinque interventi, acquistando una preziosa esperienza sul complesso procedimento riabilitativo. All' inizio degli Anni 90, la situazione italiana è ulteriormente progredita ponendosi su di un piano di parità con quanto si fa in altri Paesi sia europei sia extraeuropei. Il gruppo di equipes che lavorano sull' impianto cocleare si è allargato. Attualmente ai 25 pazienti con impianto 3M si sono così aggiunti altri 27 pazienti: 17 operati a Venezia, 7 a Bergamo, 2 a Varese e uno a Parma. E' prevista fra breve una fase di approccio, molto delicata, al bambino sordo. L' impianto di gran lunga più utilizzato è il Nucleus a 22 elettrodi, particolarmente sofisticato e affidabile, già approvato dalla Food and Drug Administration, ma sono stati applicati anche l' impianto a due canali Med El, l' impianto monocanale Mxm e l' impianto Ineraid. L ' elemento oggi forse di maggiore interesse è rappresentato dal fatto che l' impianto multipolare, come appunto il Nucleus, consente la comprensione della parola e di frasi non predeterminate senza l' ausilio della lettura labiale. Resta un problema l' alto costo dell ' impianto, che viene normalmente a gravare sulla struttura pubblica. Una precisa conoscenza dell' argomento da parte dei potenziali utilizzatori e dei loro familiari consente un più consapevole approccio all' impianto cocleare, contenendo al massimo le attese eccessive e non realistiche ed evitando anche il possibile conseguente discredito di un metodo obiettivamente e provatamente efficace. Per questo motivo l' impianto cocleare è una materia delicata che richiede una elevata tensione etica nel medico che lo prescrive e lo applica. E si pensi poi a quando, agli oltre duecento bambini sinora operati negli altri Paesi Europei, si aggiungeranno i bambini italiani.








mercoledì

Cosa c'è alla base di un impianto cocleare? Storia di un Premio Nobel.

Georg von Bèkèsy (1899-1972) era un ingegnere ungherese impiegato in una compagnia telefonica, a Budapest, e negli Anni ‘20 gli venne chiesto cosa si poteva fare per migliorare l’audio dei primi telefoni e rendere il suono più possibile fedele e gradevole all’orecchio umano. Cominciò così una serie di esperimenti pratici che, partendo dalla simulazione di funzionamento dell’orecchio, arrivarono alla scoperta di alcuni fondamentali meccanismi dell’udito che sono alla base, oggi, del funzionamento dell’impianto cocleare.
Von Bèkèsy costruì un tubo metallico a spirale pieno d’acqua (a simulare la coclea umana e la sua linfa interna), con una membrana elastica tesa in mezzo (per simulare la membrana basilare sotto la quale si trovano le cellule ciliate che raccolgono i suoni), e cominciò a studiare il meccanismo del moto dell’acqua dentro il tubo. E cosa vide? Si accorse che il moto dell’acqua era “a onde”, nel senso che a seconda della forza della spinta iniziale il fronte dell’onda percorreva un tratto più o meno lungo all’interno del tubo, ingrossandosi fino a un massimo di ampiezza e poi riducendosi. E così facendo stirava in maniera maggiore o minore la membrana elastica.
Von Bèkèsy successivamente passò alle coclee reali, ottenute da cadaveri o animali, per fare un confronto con gli esperimenti precedenti. E in particolare, utilizzando il microscopio e una soluzione di polvere di alluminio per “marcare” l’acqua, vide che si formavano lo stesso tipo di onde precedenti quando lo stimolo era causato da un suono prodotto dall’esterno. Ma la cosa più interessante fu il constatare che quando lo stimolo sonoro era acuto, si formava un’onda che si esauriva subito: quindi la membrana basilare della coclea veniva “stirata” solo nella parte iniziale. Quando il suono era grave, al contrario, l’onda proseguiva a lungo, percorreva i giri della coclea e andava a esaurirsi verso l’estremità più lontana, andando quindi a stirare la membrana in un punto lontano. Tanto più grave il suono, tanto più lunga l’onda e quindi tanto più lontano lo stiramento della mambrana. E’ curioso il fatto che questo esperimento venne effettuato sulla coclee di orecchie di elefante, che sono di grandi dimensioni e quindi più agevoli da maneggiare.
Questo è meccanismo venne definito “delle Onde Viaggianti”, e Von Bèkèsy lo mise a punto anche grazie agli studi. puramente teorici, di uno dei più grandi scienziati di ogni tempo, che aveva immaginato, quasi cento anni prima, un meccanismo del genere: il tedesco Hermann Von Helmholtz.

Orbene, questo meccanismo delle Onde Viaggianti è, in parole povere, la base della teoria della Tonotopicità della coclea. Cosa è la “teoria Tonotopica”, in due parole? In sintesi, l’interno della coclea non è fisiologicamente tutto uguale. Ci sono le cellule ciliate disposte sul tratto iniziale, che “raccolgono” i suoni acuti, mentre quelle posizionate più in fondo “raccolgono” i suoni gravi.
Questo fatto è importante perché l’impianto cocleare moderno funziona seguendo questo principio. Gli elettrodi posizionati all’ingresso della coclea fanno passare solo le frequenze acute; gli elettrodi spinti fino in fondo, nella profondità della coclea, sono deputati invece a trasmettere le frequenze gravi. Tutti gli elettrodi messi insieme, trasmettono l’intero messaggio sonoro, ma lo fanno passare non in blocco, bensì suddiviso a pezzetti, ciascuno in una porzione differente della coclea. Insomma: è come se gli elettrodi tentassero di sostituire le cellule ciliate, che nei casi di sordità sono ridotte o assenti, sostituendosi a loro, e trasmettendo le frequenze al nervo acustico. E lo fanno cercando di seguire un principio tono-topico: “a ogni zona della coclea, bisogna trasmettere una particolare frequenza”.
Esattamente come forse accade nella realtà.
Perché “forse”? Perché, e qui è il bello della faccenda, la Tonotopicità della coclea è una teoria, ancora non scientificamente dimostrata al 100%. La teoria della Tonotopicità è infatti una delle teorie proposte che cerca di spiegare i fenomeni sottili dell’udito, e l’impianto cocleare si basa appunto su di essa: una teoria ancora non dimostrata.
Tuttavia, il fatto che l’impianto cocleare funzioni sta a dimostrare che in questa teoria qualcosa di vero c’è, ma, a distanza di tanti anni dagli esperimenti di Von Bèkèsy, si è scoperto che il meccanismo della Tonotipicità non è il solo ad intervenire, dal momento che l’orecchio umano è in grado di sentire migliaia di frequenze differenti, il che equivarrebbe a dire che ogni millesimo di millimetro di coclea è deputato a raccogliere una frequenza diversa, la qual cosa, considerato la ridotta dimensione della coclea stessa, è impossibile. Per cui è molto probabile che la Tonotopicità della coclea sia una parte della verità, ma accanto ad essa vi è un altro meccanismo ancor più sottile.

Nel 1961 Von Bèkèsy vinse il Premio Nobel nella Medicina per i suoi studi sulle Onde Viaggianti e per aver fatto grandi passi avanti nella comprensione della fisiologia dell’udito:
ironia della sorte, proprio in quell’anno, negli Stati Uniti, veniva messo a punto la prima rudimentale "neuroprotesi uditiva", ovvero, l’impianto cocleare.

giovedì

Giochiamo a 'Battaglia Navale'? (misurare i progressi con l'impianto cocleare)

Esiste un metodo semplice, efficace e magari anche divertente per misurare i progressi fatti con l'impianto cocleare, nel corso del tempo?

Ma certo che esiste: è il gioco della 'Battaglia Navale' !
Si gioca in due: voi e l'aiutante, ma non siete l'un contro l'altro, bensì siete voi due contro le navi avversarie: insomma, una sorta di "gioco di squadra". In questo gioco, per l'appunto insieme al vostro aiutante (normoudente) dovrete sparare cannonate contro la flotta nemica e possibilmente affondarla: il vostro aiutante conosce la posizione delle navi nemiche, che sono segnate su un foglio - voi invece ne siete all'oscuro- e vi dà le "coordinate di tiro", e voi dovete essere capaci di sparare la cannonata con la giusta traiettoria. Saprete fare centro?
Attenzione!!! avete solo DICIANNOVE colpi a disposizione, e dovete affondare esattamente DICIANNOVE navi!

(nella realtà: l'aiutante, che ha un udito normale, stando alle vostre spalle pronuncia con voce chiara e limpida diciannove fonemi ben precisi, uno per volta; e voi dovete essere in grado di ripeterli esattamente. In tal caso l'aiutante segnerà sul foglio "colpito!"; in caso contrario sarà "acqua!", e quello avrete risposto -cioè quello che avete creduto di sentire- avrà grande importanza alla fine del gioco. Anche gli errori in questo gioco hanno la loro importanza)

Cosa si riesce a fare con questo gioco?
1- Si mette in chiaro cosa si sente.
2- Si mette in chiaro cosa si capisce (cosa importantissima....)
3- Si traggono utili indicazioni per le 'mappe cocleari' successive (cosa c'è da cambiare e cosa da mantenere, quale elettrodo variare)
4- Si osservano i cambiamenti nel corso del tempo (stiamo migliorando o no?)
5- Ci si diverte, e lo si può prendere anche come un gioco a punti.

Ovviamente, il vero nome del gioco non è "La Battaglia Navale", bensì, più seriamente, "Test della Matrice di confusione consonantica", e bisogna dire che raramente un Test, serio e rigoroso, è capace di trasformarsi in un gioco appassionante. La "Matrice" è uno dei test classici della riabilitazione del linguaggio, e praticamente tutti gli operatori di Logopedia la conoscono e la utilizzano.

Ma abbiamo fatto anche troppe chiacchiere: mettiamoci all'opera! Flotta nemica in avvicinamento!

ATTENZIONE!!!
- il Test è idoneo per ragazzi e adulti che sappiano udire e rispondere; NON è indicato per bambini troppo piccoli;
- l'aiutante DEVE avere un udito perfetto e una voce chiara e pulita, assolutamente senza storpiature o inflessioni dialettali;
- si dà per scontato che la persona sottoposta al test sia almeno in grado di sentire e distinguere la vocale A, che è alla base dei fonemi utilizzati.


SVOLGIMENTO
Il vostro aiutante è posizionato alle vostre spalle e ha davanti a sé una matita e il foglio del Test – che vedete qui riprodotto (stampatelo se volete).
Osserviamo il foglio: sulle colonne verticali (sinistra o destra, è indifferente) sono riportati i fonemi da pronunciare, mentre sulla riga orizzontale in basso sono riportate le risposte ottenute. La linea diagonale rappresenta le navi nemiche in fila.





Facciamo un esempio (figura successiva): l'aiutante, sempre alle vostre spalle, vi dirà :"ARA!" , voi rispondete "AGNA!".....errore grave, acqua! E l'aiutante segnerà con un circoletto dove è andato a finire il colpo: l'incrocio tra ARA (pronunciato) e AGNA (ascoltato) (Attenzione! L'aiutante NON deve dire se la risposta è azzeccata o meno: prima si finisce il test per intero, poi si mostra il foglio al "cannoniere". Non bisogna dare indizi di nessun tipo!)
Ma supponiamo invece che l'aiutante dica "ARA!", e voi sentiate correttamente e rispondiate anche voi "ARA!". in tal caso, complimenti! Bersaglio colpito! Incrociando ARA orizzontale con ARA verticale si va a finire sulla riga diagonale: risposta esatta, nave affondata! (....e ricordate che l'aiutante NON deve dire se è colpito o mancato! Chi subisce il test deve andare alla cieca, non deve sapere il risultato, se non alla fine) (vedi figura 3)

Andando avanti con il gioco si devono pronunciare tutti e e diciannove i fonemi, e segnare le risposte, e alla fine avremo un foglio di questo tipo (vedi figura 4): in questo caso avremo avuto OTTO risposte giuste e UNDICI sbagliate. Può anche darsi che alcune risposte siano uguali, nel senso che il 'cannoniere' ha l'impressione di udire sempre lo stesso fonema (ad esempio l'aiutante dice ASA, AZA, ALA, ACA, e la risposta è sempre ACA in tutti i casi).

(IMPORTANTE: 1-segnatevi la data sul foglio, alla fine del test; sarà utile per fare confronti con i test successivi, e vedere i progressi in funzione dle tempo. 2-per evitare che il 'cannoniere' impari a memoria le posizioni dei fonemi, basterà che l'aiutante ogni volta cominci il test con una "nave" a caso, quindi non rispettando l'ordine del foglio 1-AGA, 2-ACA, 3-AGLIA ecc, bensì andando casualmente).

Perchè questo Test è importante? Per il semplice motivo che i fonemi NON SONO DISPOSTI A CASO. Più il colpo è mancato (cioè : lontano dalla diagonale), più l'errore è grave. Significa che per quella lettera o fonema siamo ancora lontani dal "sentire bene". Per esempio, nell'ultima figura, l'aiutante ha detto AFA, e la risposta è stata ACIA : grosso errore, il colpo è finito lontanissimo. Al contrario, più il colpo è caduto vicino alla diagonale, più siete prossimi al sentirci bene (esempio dire AGA e rispondere ACA)
Ma non basta... Perchè questo Test è importante? Perchè se gli errori sono sempre gli stessi, e non c'è miglioramento nel tempo, significa che bisogna correggere un qualche elettrodo; e il "mappista" in gamba capirà cosa fare. Perchè questo Test è importante? Perchè, confrontando i giochi fatti nelle settimane o mesi precedenti (ognuno con la sua data scritta in un angolo), è possibile vedere come evolve la situazione, se ci sono progressi o no, ed eventualmente dove ci sono progressi e dove ritardi. Perchè questo Test è importante? Perchè provando e riprovando, voi, cannonieri, vi abituate a stare attenti alle minime differenze di suono: riuscire a distinguere tra ASA e AZA è roba da veri campioni!
Cominciate a giocare! non vi spaventate se i primi tentativi saranno pessimi. Non spaventatevi se fate errori incredibili: siate anzi contenti, perchè finalmente sapete quali sono i vostri punti deboli, e potete lavorare per migliorare!



Barra a dritta, Timoniere! E tu, Cannoniere, ai posti di combattimento!
OBIETTIVO FINALE: DICIANNOVE SU DICIANNOVE ! FORZA!!!


























































martedì

Riflessioni sull'impianto cocleare: un articolo sul periodico 'Effeta'

L'istituto Gualandi di Bologna, ("Istituto dei sordomuti don Giuseppe Gualandi", esistente dal lontano 1849) attraverso la sua Fondazione, mi ha chiesto di scrivere un articolo il più possibile pacato e riflessivo su cosa è realmente l'orecchio bionico, se funziona o no, se serve o meno, e di quale utilità sia per una persona sorda. Ho scritto un articolo di una pagina e mezzo, che per motivi editoriali è stato leggermente adattato e accorciato.
L'articolo è stato pubblicato sull'edizione online della rivista 'Effeta', il periodico dell'Istituto Gualandi.

Per evitare sgradevoli copiaincolla, vi rimando direttamente alla pagina :
http://effeta.fondazionegualandi.it/
oppure:
http://effeta.fondazionegualandi.it/riflessioni-sull-impianto-cocleare
Buona lettura!

Perchè l'udito "naturale" è migliore di quello "artificiale"?

Lungi da me l’idea di voler criticare lo strumento che tenta di restituire l’udito a coloro che lo hanno perso: in questo post vuol solo cercare di chiarire dove sono le differenze maggiori tra chi ci sente bene (le persone normoudenti) e chi no (le persone sorde), e soprattutto il perché.
Quando si vuole riportare su un piano più razionale, con i piedi per terra, la meraviglia dell’orecchio bionico, si dice che in ultima analisi “…non è uguale al sentirci bene, come con l’udito naturale”. Questo è vero, l’esperienza ce lo mostra. Il più grande “Campione di impianto cocleare” se la batte quasi alla pari con i normoudenti in situazioni di quiete, suscitando l’entusiasmo del pubblico…. salvo mostrare la corda quando si è in mezzo al casino più generale: In questa situazione, il normoudente è in difficoltà, ma se la cava; il “Campione di impianto cocleare”, tranne rarissime eccezioni, crolla miserabilmente, non riuscendo più a capire nulla.

Ma come mai l’orecchio “bionico” non è allo stesso livello di quello “naturale”? Che diamine, potrebbe esistere un udito artificiale che riproduce perfettamente quello naturale, forse si tratta di un fatto riguardante tecnologia non ancora sufficientemente avanzata? O forse la differenza tra artificiale e naturale è da ricercarsi nella pura dinamica di trasmissione dei suoni?
La risposta è: tutte e due.
L’udito artificiale è meno valido di quello naturale sia perché la tecnologia non è ancora avanzata quanto si vorrebbe, sia perché l’impianto cocleare scavalca alcuni fenomeni di acustica applicata che sono estremamente importanti nella fisiologia dell’udito.
Cominciamo da quest’ultimo fattore: l’acustica. Tutti noi abbiamo i padiglioni auricolari, ma non solo gli esseri umani, anche moltissime altre specie animali li posseggono. L’esperienza ci mostra che gli animali con le orecchie più grandi sono quelli con l’udito più fino, e addirittura molte specie hanno le orecchie “orientabili”, che possono venir ruotate in varie direzioni, per poter captare meglio i suoni. Ed è appunto questa l’importanza del padiglione auricolare: quella di raccogliere i suoni in maniera più efficace per convogliarli nel condotto uditivo. E qui cosa succede? Succede che nel condotto uditivo avviene un fenomeno acustico particolare in quanto esso funge da cassa di risonanza per le onde sonore che lo attraversano. La cosa più importante -e poco nota- è che durante il tragitto verso la membrana timpanica alcune frequenze vengono esaltate e altre diminuite. Quali? Qui la fisica ci viene in aiuto, mediante l’applicazione di formule matematiche possiamo vedere che vengono aumentate, rispetto alla realtà, le frequenze da 1000 a 3000 Hertz, che coincidono con una certa approssimazione alle frequenze della voce umana. Per contro vengono progressivamente smorzate (riducendole ad un valore inferiore a quello reale) tutte le frequenze superiori a 10000 Hertz. Ebbene, tutte queste funzioni acustiche vengono “bypassate”, ovvero scavalcate, dall’impianto cocleare: non c’è nessuna raccolta dei suoni da parte del padiglione auricolare, né tantomeno una esaltazione delle frequenze della voce umana rispetto alle altre. Ecco che cominciamo a capire come mai le persone normoudenti sentono così bene le voci umani e riescono a separarle dai suoni ambientali: non è solamente un fatto di “cervello che riesce a separare i suoni”, ma è anche il fatto che fin dall’origine, prima ancora di arrivare al timpano, i suoni vengono “presentati” nel migliore dei modi possibili.
Se vogliamo fare un paragone grezzo ma efficace, immaginiamo di avere una chitarra tradizionale (non elettrica), con le sei o dodici corde. Se proviamo a strimpellare, la cassa acustica di legno provvederà a “creare” il tipico suono di chitarra acustica. Adesso immaginiamo di togliere la cassa e di lasciare solo le corde, perfettamente tese (in teoria basterebbe anche coprire perfettamente solo il “buco centrale”, con del nastro adesivo!) : cosa succede? Succede che il suono è molto più tenue, quasi impalpabile, meno netto, meno definito, meno gradevole, meno….tutto. Ecco, questo è il paragone tra udito naturale, che rispetta tutti i passaggi dei suoni, e l’udito artificiale. Ovviamente l’impianto cocleare tenta di risolvere questo problema, mediante l’applicazioni di algoritmi software, filtri che cercano di esaltare le frequenze della voce umana, ma ci si può rendere conto che l’emulazione del vero non è mai uguale al vero. E qui passiamo al secondo problema: la tecnologia “in progress”, ancora lontana dalla perfezione.
Il punto dove la tecnologia differisce maggiormente dalla realtà è nella funzionalità degli elettrodi. La coclea è strutturata in modo talmente sofisticato –teoria della “tonotipicità della coclea”, che richiederebbe un post a parte!- che ogni zona della curva è deputata a raccogliere una certa determinata frequenza. La zona iniziale della coclea per esempio, “raccoglie” le frequenze acute, quella più in profondità riceve invece le frequenze gravi. Gli elettrodi dell’impianto cocleare cosa fanno? In estrema sintesi cercano di ricalcare questo fenomeno: il suono esterno viene filtrato e modificato, poi diviso in “pacchetti” di frequenze, dalla più acuta a quella più grave, e i vari “pacchetti” vengono spediti ai vari elettrodi posizionati lungo la coclea. L’elettrodo più esterno trasmetterà le frequenze più acute, quello successivo le frequenze “acute ma non troppo”, per arrivare all’ultimo elettrodo, quello spinto più a fondo al’interno della coclea, che provvederà alle frequenze più gravi…. cercando così, nella globalità del processo, di emulare il meccanismo naturale dell’udito. Ma è ovvio che 15-20 elettrodi non possono replicare fedelmente l’azione di migliaia di cellule ciliate, che, naturalmente, provvedono alla trasmissione del suono con grande finezza e precisione. La tecnologia cerca di migliorare questo processo con vari "trucchi", tra i quali l’impiego degli “elettrodi virtuali” (“current steering”), una metodica non ancora pienamente applicata, che cerca di moltiplicare il numero degli elettrodi tentando così di “distribuire” meglio i suoni. Oppure aumentando le "pulsazioni" sonore degli elettrodi.
Oltre a questo ci sarebbero moltissime altre cose da dire, per esempio la trasmissione del suono attraverso la catena degli ossicini, martello-incudine-staffa, meccanismo che anche questo viene “saltato” dall’impianto cocleare, ma qui veramente il dicorso diverrebbe troppo lungo e pesante.

E’ veramente incredibile la sofisticazione di tutto l’insieme tecnologico dell’orecchio bionico, stupefacente il numero di problemi e le soluzioni alle quali i tecnici e gli ingegneri hanno cercato di porre mano: sembra davvero di aver a che fare con una meraviglia della tecnologia…. e quale è la nostra sorpresa nell’accorgerci che la Natura si trova nondimeno mille chilometri ancor più avanti.

sabato

Storia di LAURA

All’inizio degli anni Ottanta il concetto rivoluzionario di “orecchio bionico” comincia a diventare realtà e a diffondersi: la cura per la sordità sembra essere vicina, e molti centri di ricerca si tuffano nell’avventura per trovare il rimedio il più possibile "definitivo". Le università sono il terreno di continue ricerche e scoperte, che si susseguono a ritmo incalzante. In Europa, la Francia arriva per prima, avendo già alle spalle una vasta ricerca sul tema, e nel 1986 si cominciano a produrre i primi modelli denominati “Digisonic” e commercializzati dai laboratori MXM; similmente qualche anno dopo faranno i ricercatori dell’Università di Vienna, mettendo a punto un proprio sistema e fondando nel 1989 la “MedEl”. Ma non sono i soli: accanto ai dispositivi francese e austriaco, tutt’ora esistenti, si affianca un’altra sistema, sviluppato dal gigante dell’elettronica Philips. La grande multinazionale olandese, infatti, decide di costruire un proprio “orecchio bionico”, fondando la Philips Hearing Implants, con sede in Belgio, presso l’Università di Anversa, dove viene a messo a punto un impianto cocleare che vorrebbe essere “lo stato dell’Arte”: un impianto a quindici canali con stimolazione monopolare, affiancato da un software avanzato, al quale viene poeticamente dato il nome di LAURA. Il Philips LAURA entra in produzione nel 1993 e, dopo pochi anni, come testimoniano le numerose pubblicazioni scientifiche, è un impianto assai apprezzato. LAURA viene prodotto in numeri assai limitati rispetto agli standard odierni – è bene ricordare che siamo ancora in un’epoca quasi pionieristica- e viene apprezzato soprattutto in ambito pediatrico: diverse conoscenze sull’impianto cocleare in età infantile derivano dalle esperienze fatte sui bambini ai quali è stato impiantato LAURA, per non parlare dei tools di sviluppo che grazie anche al supporto della casa madre, vengono prima sviluppati e poi adattati anche agli impianti di altre marche.
Ma come spesso accade, molte storie belle hanno una fine. LAURA non viene commercializzato negli USA, mancando così un notevole bacino di utilizzo, la Philips alla fine degli anni Novanta versa in gravi difficoltà finanziarie, e la divisione relativa agli impianti cocleari viene ceduta nel 2000, con tutta la tecnologia proprietaria, all’australiana Cochlear, tutt’ora principale produttore mondiale, che ne sfrutterà i concepts e tutto quanto collegato.
L’ultimo impianto viene utilizzato nel 1999: la storia di LAURA è durata meno di un decennio, ma ha avuto la sua importanza per tutto quello che è venuto dopo.