sabato

Il giorno che il filo si spezzò. (7 gennaio 2010)

"Non si è mai visto un caso di sordità migliorare con gli anni. Prima o poi peggiorerà. E chi parte già con un udito ridotto ai minimi termini, deve sapere che prima o poi arriverà quel momento. E' nella natura delle cose. La sordità è nella stragrande maggioranza dei casi progressiva."


Agosto 2008.
Mi piace viaggiare, stavolta sono in Slovacchia, uno dei nuovi paesi entrati nelle UE, appena qualche anno prima, per due settimane di trekking.
Mi trovo sui monti Tatras, una catena montuosa le cui vette arrivano a 2500 metri, in mezzo ai boschi infiniti (il 60% della Slovacchia è composto da foreste). Il nostro quartier generale è Vernàr. Siamo così fuori dal mondo conosciuto che noto, quasi con piacere, che io e i miei compagni siamo gli unici "occidentali" presenti in quelle zone. Che cosa sublime, nel ventunesimo secolo, vedere posti non ancora rovinati dai turisti, posti dove tutto scorre e si sussegue come è sempre stato, secondo ritmi secolari. Chiese ortodosse, paesini di montagna, abitanti che si fermano per guardarti, pranzi e cene con piatti davvero strani e diversi dal solito, case interamente in legno che sembrano appartenere ad un'altra epoca....
Le sere si passano in compagnia, bevendo birra, chiacchierando del più o del meno, preparando la giornata seguente. Quella sera sto chiacchierando con Silvia (in inglese, of course), una ragazza del posto laureata in biotecnologie a Bratislava, che mi racconta del suo prossimo dottorato a Londra. Ho in mano una birra e ho l'impressione di sentirmi quasi ubriaco. Ho la testa che mi ronza leggermente, ma non ci faccio caso. Si fa tardi, saluto Silvia e gli altri ragazzi, e mi ritiro in camera per la notte. Ho sempre la testa che mi ronza.
Mentre spengo la luce, ancora non mi rendo conto che ho passato l'ultima serata "normale" della mia vita.
Il mattino dopo, al risveglio, non sento o meglio non capisco più nulla dall'orecchio sinistro.

Tutto in una notte. Alla fine, il filo si è spezzato.
E adesso, che faccio?

Costruirsi un equilibrio. (6 gennaio 2010)

Ho passato più di trenta anni della mia vita a cercare di costruire un equilibrio.
Sono sordo. Ho messo gli apparecchi acustici fin da bambino per poter sentire i suoni.
Ma se non li comprendi? A che servono?
Servono eccome. Servono a sentire un pò della propria voce. E' sentendo un minimo i propri suoni che si riesce a parlare in maniera comprensibile. Dopo aver fatto logopedia da bambini, riabilitazione, essersi sforzati, essere stati seguiti dalla famiglia, eccetera.
E' già molto. Se riesci a parlare in maniera comprensibile (e cioè a non essere un sordo-muto ) puoi rapportarti con gli altri, anche con gli sconosciuti, in maniera abbastanza rilassata e "normale" (qualunque cosa significhi questa parola...).
Certo non è tutto, non puoi telefonare, non puoi andare a teatro, al cinema, seguire conversazioni in locali affollati...o forse puoi fare tutto ciò, basta saper cogliere due parole e ricostruire il discorso, oppure al peggio fingere e abbozzare.
Insomma, è una vitaccia. Però si può fare.
Ho passato più di trenta anni della mia vita a cercare di costruire un equilibrio, e ad avere una vita il più possibile simile a quella degli altri esseri umani.

Purtroppo, alla fine non è bastato.

L'origine del problema. (5 gennaio 2010)

"La sordità ? E' un problema dei vecchi, che c'entri tu, tu sei giovane!"


Ecco, il mio problema è proprio questo. Sono (anzi ero) giovane ma i suoni non li sento come li sentono gli altri. Brutalmente, sono sordo.
Che significa essere sordi? Penso che esistono tante sordità quante sono le persone dirtettamente toccate da questo problema. Non ho mai visto due persone d'accordo sulla definizione della propria sordità, figuriamoci per una definizione di sordità in generale.

Per quel che mi riguarda, sordità non tanto l'assenza di suoni quanto l'impossibilità di capirli, di comprenderli. E' come l'ascolto di una radio che trasmette in una lingua africana o asiatica. Si sente che c'è qualcuno che sta parlando, ma il significato delle parole risulta sconosciuto.

E questo comunque presuppone il fatto che i suoni ti arrivino al cervello, cosa che per una persona realmente sorda presuppone l'utilizzo di apparecchi acustici di potenze elevatissime. Senza apparecchi acustici non arriva proprio alcun suono, al massimo le vibrazioni che passano attraverso l'aria o, più spesso, attraverso il pavimento.

Problema nel problema: sono necessari gli apparecchi acustici per poter sentire i suoni, ma non sono sufficienti per capire i suoni. Tornando all'esempio di prima, è come se io sentissi continuamente la radio in lingua swahili o thailandese. Se ho una persona di fronte , mi arrangio con la lettura labiale, ovvero guardando il movimento della bocca e ricostruendo le singole parole e frasi.
Altrimenti? Spiacente ragazzo, ma ti arrangi.
Tutto sta a trrovare un fragile, fragilissimo equilibrio.

venerdì

La seconda volta (4 gennaio 2010)

Ci fu nel lontano 1980, o 1981, un secondo episodio indelebile che mi fece capire che, per certi apetti, la mia vita era "con il freno a mano tirato".

A casa del mio compagno di scuola media Alessandro. Pomeriggio passato a parlare di tante cose, poi alla fine, ehi, senti che bomba questo chitarrista.
Disco 45 giri messo fulmineamente sul piatto (allora i CD non esistevano, non parliamo degli mp3) e vai con la musica ritmata che esce dall'altoparlante.
Passa un po', e molto ingenuamente chiedo: Ok, e questa chitarra fenomenale quando arriva?
Silenzio perplesso, il disco è arrivato praticamente alla fine.
Praticamente la chitarra era stata presente tutto il tempo, e io non ero riuscito a coglierla, con tutta la più buona volontà.
Ma a prescindere da questo, che suono aveva una chitarra? Come distinguerla dalla massa degli altri suoni? Come fare a capire che "quella" è la chitarra e "quell'altro" un altro strumento? E quando sono presenti in contemporanea come la mettiamo, come si distingue un suono da un altro? E quanti strumenti c'erano? E quello che si sente più forte è l'uno o l'altro?
Troppe domande, troppo pochi punti di riferimento.

Ecco, tutto questo per me significò che ero capace sentire solo alcune cose, e forse, nemmeno le più importanti.
E, in ogni caso, avere una visione molto frammentaria della realtà sonora che ti circonda significa avere una visione parimenti frammentaria della realtà tout court.
Episodio sciocco? Certamente, ma cominciai lì, a capire che davanti a me stava una montagna durissima da scalare.


(Era una canzone di Jimi Hendrix, il titolo purtroppo non lo ricordo. Però il personaggio mi ha sempre affascinato. Negli anni successivi ho capito che suono abbia la chitarra elettrica. Qualche amico di buona volontà me l'ha prestata e l'ho strimpellata in silenzio, alla fine ho capito quele è il suo suono. Ma se la sentissi casualmente, sono sicuro che non saprei riconoscerla, adesso, come allora )

La prima volta (3 gennaio 2010)

Se sei "diverso", ti accorgi della tua diversità solo quando ti scontri con essa.
Se non hai mai avuto modo di scontrarti veramente con il tuo problema, non ti senti "diverso".

In prima elementare, correva l'anno 1975, la maestra portò tutti noi bambini in un'altra classe, al pian terreno della scuola, dove era già presente altre classi, con relative maestre: I bambini erano seduti ai banchi, appoggiati in piedi alle pareti, sistemati un po' ovunque. Noi ci sistemammo in piedi vicino a una parete, e a quel punto la classe era strapiena di bambini. Al centro della stanza, poggiato su un banco, troneggiava uno di quei colossali registratori a nastro di tanti anni fa.
Insomma, si trattava di una lezione di canto. Credo sia stata la prima e l'ultima, perchè poi non ne facemmo più. Una maestra fece partire il registratore, e dall'altoparlante cominciarono a uscire le note di una canzone. Poi la fece ascoltare una seconda volta, chiedendo a tutti noi bambini di cantare in coro.
Andai subito in crisi: come facevano tutti quanti a essere così bravi? Cantavano, i miei compagni, chi più chi meno, ma cantavano tutti. Io a malapena sentivo le note che uscivano dall'altoparlante, qualche sprazzo di voce umana. Presto cominciai a fare versi con la bocca per fingere di cantare, per essere uguale agli altri, ma mi sembrai patetico, e smisi quasi subito.
Mi rimase impresso in maniera indelebile quell'episodio, ed è singolare che a distanza di tanti anni rimanga ancor così vivido nella mia mente.
In realtà, in quel momento, sperimentai davvero per la prima volta che ero diverso dagli altri. Gli altri avevano qualcosa in più, che io non avevo.
E non si trattava della capacità di cantare o avere una bella voce.

Gli altri sentivano, io no.

(Quella canzone: si chiamava La tartaruga, il cantante era Bruno Lauzi. Era una canzone per bambini molto in voga in quel periodo, non l'ho mai voluta più risentire davvero. Oggi, chissà.)

giovedì

Chiudere il prima possibile. (2 gennaio 2010)

Blogs che si trascinano da anni? E quanti ne abbiamo conosciuti?

Questo blog è l'opposto. Spero che questo rimanga aperto il meno possibile e venga chiuso al più presto.
Perchè in tal caso, vorra dire che ormai il suo compito è terminato. L'obiettivo raggiunto.

MARTEAU, ENCLUME, ETRIER. (1 gennaio 2010)

Quando ero bambino, e passavo le giornate da una visita medica all'altra (splendido modo di trascorrere l'infanzia, è il caso di dire!) , un giorno mi ritrovai davanti, in uno studio medico, un enorme poster che occupava gran parte della parete.
Su questo poster risaltavano tre parole, maestose e solenni, l'una di seguito all'altra:

"MARTEAU ENCLUME ETRIER"

Meraviglioso. Guarda come sono raffinate. Senti come risuonano bene nella tua mente. Elegantissime.
Che parole affascinanti. Rimasi a guardarle per un pò e le memorizzai, badando bene a non dimenticarle.
"Marteau, Enclume, Etrier", come "Athos, Porthos, Aramis, e D'Artagnan", come "Messieurs, rien ne va plus". Splendide. Sembra quasi di sentire un annunciatore : "Signore e signori ! Marteau.... Enclume.... Etrier !!" E giù un uragano di applausi.

Marteau. Enclume. Etrier. Bastano tre parole. Non c'è bisogno di aggiungere altro. Non c'è bisogno di spiegazioni. La quadratura del cerchio. La perfezione estetica raggiunta.

Non ricordo altro di quel giorno, ma che importanza ha? Sono passati più di trent'anni. Erano gli anni Settanta, mi trovavo ai piedi di una montagna, che avrei cominciato a scalare senza fermarmi un solo giorno, mio malgrado. Ma da bambini non ci si rende pienamente conto di cosa ci aspetta, non è vero?
Di quel giorno ricordo solo quelle tre magiche parole.
Non avrei mai detto, all'epoca, che in qualche modo mi avrebbero accompagnato per il resto dei miei giorni.