domenica

Ciao, come stai? (2 marzo 2010, sera)

Ciao, come stai? Spero tu stia bene! Volevo dirti che mi sono svegliato, pare che l'operazione sia andata bene. Ora mi sento così così , ma sono ancora vivo, ed è questo quello che conta. Baci, ti penso, ti voglio tanto bene, e spero che tu stia bene sempre.

Sono davvero contenta! Ti abbiamo pensato tanto. Siamo sempre vicini, anche se siamo così lontani. Vedrai, ti andrà tutto bene.
Adesso riprenditi con calma, e ....benvenuto nel mondo sonoro, benvenuto a una nuova vita. :-)

Solo ( 2 marzo 2010, metà giornata)

Riprendo l'ascensore sospinto dalle mie solerti guardiane, e ritorno in reparto. Le due infermiere mi sorridono tutto il tempo, sembrano davvero contente di rivedermi. Rientro nella mia stanza. Sono solo, adesso.
Mi sento quasi confuso, come se troppe cose fossero accadute tutte insieme. Mi dicono che i miei se ne erano andati appena pochi minuti prima, pensando chissà quanto sarebbe durato l'intervento. Sono stati informati, e ora stanno tornando indietro.
C'è ora davanti al mio letto la ragazza che dovrà essere operata per ultima, il giorno dopo. E' venuta di corsa dalla sua stanza per sapere come è andata, e per chiedermi "suggerimenti e consigli". E' agitatissima. Mi viene da sorridere al fatto che lei viene a cercare a conforto da me, in questo momento!, e le dico di stare calma e non agitarsi, ma è fatica sprecata, dal momento che lei mi risponde che "sta a sonniferi" già dal giorno prima. Si meraviglia di vedermi così bene, si aspettava di vedere i pazienti ridotti come stracci dopo un'operazione del genere. Bè, se è per quello, me lo aspettavo anche io.
Arrivano i miei, baci, abbracci, grandi sorrisi, tutto molto composto. Appena il tempo di salutarmi e vengono fatti uscire, per l'orario di chiusura.

Rimango di nuovo da solo. Non posso mangiare, posso bere acqua con moderazione, chiedo se posso mangiare qualcosa, ho fame, no, niente cibo, per stasera è previsto un tè con due biscotti come lauta cena.

Sento che l'anestesia sta andando via, comincio a sentire sempre di più dolori dappertutto.
Mi fa male la bocca (a causa dei tubi dell'aria), mi fa male il collo, mi fa male la gola a deglutire (sempre per i tubi), e mi sembra di avere un cerchio terribile intorno alla testa. Non posso appoggiare l'orecchio sul cuscino, devo stare appoggiato dalla parte opposta. Ho l'istinto di toccarmi l'orecchio dolorante, ma la fasciatura è così stretta e rigida che è impossibile.
Mi accorgo di non avere più sensibilità alla lingua (effetto collaterale dell'operazione.....), mi fa male persino il braccio con l'ago ancora inserito.
Provo a fare una dormita, ma più che uno stato di fintissima dormiveglia non riesco a fare. Prendo la macchina fotografica e mi scatto qualche fotografia ricordo. Pure un mezzo sorriso è doloroso, in questo momento.
Ma sono così contento di essere ancora vivo, ancora cosciente, ancora capace di vedere e assaporare il mondo. Tutto il resto passa in secondo piano.
Le ore passano.

Risveglio ( 2 marzo 2010, ora ?? )

Sento qualcosa sul naso e intorno agli occhi, una sorta di pizzicore. E spalanco gli occhi di soprassalto. Vedo il giovane medico di prima che cerca di sistemarmi gli occhiali sul naso alla meno peggio, dopodichè con la massima naturalezza si volta e passa a fare altro. Qualcuno mi rassetta le coperte, allisciandole come si fa per i vestiti.
Mioddio. Mi sono svegliato, sono ancora in sala operatoria.
Mi sento le mani sganciate dai lacci, e lentamente, lentissimemnte, porto le mani alla testa. Sento una fasciatura tutto intorno al capo, molto stretta. Non sento nessun dolore. Non sento nessuna sensazione particolare. Se non avessi paura di esagerare, oserei dire che mi sento quasi bene.
Riesco a parlare normalmente, chiedo come è andata. Tutto bene, è la laconica risposta. Credo mi abbiano chiesto altro, ma non ricordo nulla in proposito. Il letto si muove, usciamo, andiamo nella saletta accanto. Queste apparecchiature le riconosco immediatamente. E' una sala per radiografie. Sempre stando sdraiato nel letto, mi viene fatta una lastra alla testa, di fronte, e successivamente una di profilo. Mi accorgo che l'ago nella mano è stato sfilato via, non così quello nel braccio, che è sempre lì, con la valvola esterna in bella vista. Mi meraviglio di non provare alcun dolore. Mi meraviglio ancor più del fatto che mi sento davvero bene. O è la mia immaginazione? Vorrei scendere già dal letto e tornare in reparto con le mie gambe. Sento di muovere bene braccia e gambe, senza difficoltà. Vengo portato all'uscita del blocco operatorio dove le due solerti infermiere di prima, in blu elettrico, mi aspettano con un sorriso per riportarmi "lassù".
Afferro una mano del giovane medico che in pratica mi ha fatto da factotum: un'ultima grazia, capo. Che ore sono?
Guarda l'orologio da polso: sono ora le dieci e quaranta.
E' durato tutto due ore circa, minuto più, minuto meno.

sabato

GATTACA ( 2 marzo 2010, ora imprecisata )

Sono legato in un lettino, dentro una sala operatoria, a centinaia di chilometri da casa.
Fra pochi minuti mi apriranno la testa per mettere dentro un PC miniaturizzato.

E il bello è che sono stato io a volere tutto ciò, a scegliere questa opzione.

Paura? Nessuna. Tipico dei folli. Oppure no?

Ma allora perchè l'ho fatto? Bella domanda.

L'ho fatto perchè non ho più nulla da perdere,
Perchè la mia vita è ormai ridotta a brandelli,
Perchè dentro di me so che andrà sempre peggio,
Perchè questa è l'unica cosa che -forse- mi permetterà
di tornare ad avere uno standard di vita decente.

L'ho fatto perchè non ho nulla da perdere,
infatti ho già perso tutto.
L'ho fatto perchè forse un domani potrò sfruttare appieno
le mia capacità, e non vivere in maniera umiliante,
come se avessi il freno a mano tirato.

Essere handicappato nel fisico e avere un cervello funzionante,
ecco, questa è la più grande delle disgrazie.

L'ho fatto perchè questa è rimasta l'ultima cartuccia
che posso sparare per colpire il bersaglio della mia vita,
l'ho fatto perchè è giusto e doveroso darmi un'ultima possibilità.

Non penso a "se andrà male", perchè va già male.

Sono pazzo? sì, ma è una pazzia ben ponderata.
Sono un disperato? Sì, ma è una disperazione lucidissima.


Il medico mi appoggia l'inalatore sul naso.
Sento il vento gelido del protossido d'azoto che mi entra nei polmoni.
Sono sicuro di addormentarmi sorridendo.

venerdì

Sancta Sanctorum (2 marzo 2010, ore 8.30)

Vengo portato in una stanza vagamente ottagonale, gelida, dove cinque o sei persone vestite interamente in verde e con la mascherina indosso mi stanno aspettando. Al centro campeggia una sorta di complicatissimo macchinario semovente, in alto una sorta di parabola a specchio illumina l'ambiente. Alla parete c'è il macchinario per l'anestesia.
Siamo arrivati finalmente nel sancta sanctorum.
Ci sono tutti, manca solo il chirurgo, che arriverà al momento finale. I medici si tirano giù la mascherina al momento di parlarmi, cosa che non fanno di solito, ma in quest'occasione si sa che il paziente capisce solo guardando le labbra, quindi giù le mascherine quando serve.
Mi mettono una cuffia intorno alla testa, a coprire l'orecchio destro lasciando scoperto il sinistro. Mi sistemano il cuscino dietro la testa. Un altro panno verde viene posizionato a lato della testa (questo servirà per raccogliere il sangue..)
Problemi di deglutizione? Dentatura irregolare? Nossignore. E' importante saperlo, per l'inserimento dei tubi dell'aria. Durante l'anestesia totale non si respira più, quindi la respirazione è artificiale. Nei bambini si applica la maschera dell'ossigeno sul viso, con gli adulti invece bisogna usare i tubi da inserire in bocca (ma non ti preoccupare, li mettiamo solo quando sei già addormentato, non ora)
Allora ragazzo sei pronto per farti una bella dormita? Il medico, che da mezzora sta facendo la solfa della "bella dormita" arriva con una siringa senza ago, e mi inietta nella valvola sull'avambraccio una dose minuscola di liquido incolore. E questo cosa è? l'anestesia? Nossignore, è la pre-anestesia. Serve par farti girare un pò la testa, l'anestesia te la facciamo dopo.
Tempo dieci secondi e la pre-anestesia è già in circolo. me ne accorgo perchè mi sento gli occhi chiusi. Ma non perchè "gira la testa", bensì perchè l'ambiente intorno a me diventa in un istante ancora più luminoso, sembra di star guardando il sole. E' giocoforza tenere gli occhi chiusi. Chiudo gli occhi e mi sento bene....
Ma sono ancora sveglio. Ruoto la testa, e vedo accanto a me il "ferrista" che prepara tutti i bisturi, non mi degna di uno sguardo, tutto assorto con i ferri posizionati in bella mostra uno dopo l'altro. Riconosco tra gli altri l'anestesista vista nel reparto il giorno prima.

Mi sforzo di tenere gli occhi aperti, ruotando la testa a destra e sinistra. Il medico che mi ha accolto per primo arriva da me e mi chiede quanto sono alto e quanto peso. La domanda mi sembra così scema in quel frangente, che gli rispondo facendo una battuta. Lui sorride. Ci siamo capiti, tu mi fai una domanda per tranquillizzarmi e distrarmi, e io ti rispondo con una battuta per farti capire che sono tranquillo.

I medici tirano fuori i tubi dell'aria e me li appoggiano sul petto, pronti per l'uso.
Un altro mi prende le braccia e me le blocca con le cinghie. Non posso praticamente più muovermi liberamente. Ruoto continuamente la testa per far capire a me stesso, che sono ancora sveglio, ancora non ho mollato. Rido, faccio battute, continuo a scherzare con il medico di prima.
Mi sembra di star vivendo una farsa.
E in quel momento mi fermo un attimo, e mi concentro su me stesso.

Pronti per la battaglia (2 marzo 2010, ore 8.00)

Si aprono le porte dell'ascensore e mi ritrovo in una sorta di girone dantesco. E non dico per scherzare.
Moltissimi pazienti, tutti a letto, sistemati in fila più o meno ordinata, sospinti da infermieri, vestiti tutti con la medesima divisa blu elettrico. E' una sorta di fila di attesa, dal momento che ognuno proviene da reparti diversi e tutti devono essere instradati secondo una medesima procedura. Siamo tantissimi, uno dietro l'altro.
Mi sembra vagamente di essere alla fila del casello autostradale, con tutte le auto incolonnate. Accanto a me c'è una ragazza che guarda fisso verso il soffitto, porta un adesivo attaccato con scritto "senologia". C'è un senso di straniamento assoluto. Penso cosa diavolo stia facendo io qui, lontano da casa, alle prese con un mondo e una serie di procedure che non conosco e non ho mai visto prima. Gli unici che sembrano comportarsi in maniera normale sono gli infermieri e il resto del personale. Ogni tanto la fila scorre in avanti, ognuno di noi compie qualche metro e poi si ferma, in attesa del "casello". Mi accorgo di star continuando a cincischiare con le mani il fazzoletto di carta, anche se la paura ha quasi ceduto il posto alla curiosità: anzichè essere in apprensione, mi sento curioso di "vedere come va a finire".
Arriva il mio turno. Arrivo a una sorta di check-in, mi controllano le cartelle cliniche, che uno delle mie infermiere ha provveduto a portare con sè, poi mi fanno scendere e cambiare letto. Vengo sistemato in un letto un pò differente, con un incavo all'altezza della testa e un poggia testa che può essere regolato in differenti maniere. Ecco una prima sensazione. Freddo. Molto più freddo rispetto ai piani superiori, e non solo perchè sono praticamente nudo sotto la casacca verde da sala operatoria. Fa realmente freddo. Senza bisogno di dirlo, le infermiere mi coprono con la coperta pesante. Mi sorridono con fare materno, per nulla affettato, e gliene ne sono davvero grato. Sala operatoria numero nove. Sento che ormai ci siamo. Il letto compie una gimkana, destra, sinistra, destra, e si arriva al blocco operatorio. Ora fa davvero freddo.
Nelle sale operatorie, la temperatura è tenuta molto bassa per un motivo molto semplice: le basse temeprature impediscono la replicazione del batteri e altri organismi patogeni. Per questo quando si entra in sala operatoria si sente sempre una sesazione di gelo.
La mia sala operatoria è la numero nove. Ultima a sinistra, alla fine del lungo corridoio dove si affacciano tutte le sale. La sensazione di freddo è nettissima. Diciamo la verità, sembra che da qualche parte provengano folate di gelo. Vengo preso in consegna dal personale apposito. Le infermiere in divisa blu elettrico mi salutano, sempre sorridendo, e mi danno appuntamento "a dopo". Sorrido, augurandomi sia un saluto di buon auspicio.
I nuovi addetti aprono le porte della sala operatoria e mi ritrovo in una piccola stanzetta alla cui estremità vi è una colossale porta scorrevole in acciaio. Uno di loro mi saluta, è un giovane medico, ha quarantanni come me, anche se ne dimostra di meno, prova a sorridermi, a farmi qualche battuta. Rispondo a tono, e mi accorgo che immediatamente l'umore generale diventa più disteso, quasi amichevole.
Uno dei problemi maggiori che si riscontrano durante le operazioni in anestesia generale è il terrore che si impadronisce del paziente, che provoca le reazioni più inconsulte e una quantità di problemi enormi al personale operatorio. Avere un paziente in condizioni serene e rilassate facilita enormente il lavoro e il decorso post-operatorio.
Ovviamente queste cose le avevo apprese in precedenza. Esattamente come avevo letto in precedenza la cosa più importante che c'è da sapere a proposito di anestesia, oltre alla condizione di tranquillità. Una cosa che non ti dice nessuno, e quando te la dicono è già tardi.
Essere in condizioni di normopeso e non sovrappeso facilita molto tutto il processo di anestesia. E' pertanto consigliato, nei mesi precedenti all'operazione, mettersi a dieta e perdere più chili possibile. Più si è leggeri, meno problemi si avranno.
E anche della necessità di essere il più possibile tranquilli e rilassati, avevo letto prima di venire in ospedale. Il problema è, piuttosto, come diavolo si fa ad essere tranquilli e rilassati in un frangente del genere.....
L'anestesia generale è una sorta di "sospensione" della coscienza. Nel momento del risveglio, ci si sentirà esattamente come al momento di chiudere gli occhi. Pertanto, a una condizione terrorizzata si riscontrerà, al momento del risveglio, una pari condizione di paura e angoscia. Similmente, addormentarsi tranquilli e sereni darà luogo a un risveglio tranquillo e rilassato.
Sempre ridendo e scherzando ("Allora, sei pronto a farti un'altra bella dormita?") mi vengono applicato due aghi, uno nell'avambraccio, l'altro sul dorso della mano, ambedue provvisti di valvola. E' molto facile che le vene si rompano, quindi si procede per tentativi. Se non altro, non si sente pressochè dolore.
Sono combattuto da una parte dalla fifa dell'ignoto, dall'altra dalla curiosità. Per cui a un certo punto sbotto: "sentite ragazzi, vi assicuro che me ne sto buono e tranquillo se mi spiegate, passo passo, tutto quello che mi state facendo."
Sempre con un sorriso da parte di tutti gli astanti, la proposta viene accettata. La mia tranquillità in cambio della descrizione di tutto quello che accade.
L'ago con valvola nel braccio servirà per le sostanze che dovranno essere iniettate, una dopo l'altra, in momenti diversi, e precisamente pre-anestesia, anestesia, un farmaco per far scendere la pressione del sangue, e poi altri farmaci ("Dobbiamo farti scendere la massima a 80") cioè in altre parole il cuore deve pompare pochissimo sangue, perchè così quando mi apriranno la zucca uscirà pochissimo sangue. Ragionamento che non fa un grinza.
E l'ago nella mano a che serve? Eh, quello serve per le emergenze, se qualcosa dovesse andare storto, abbiamo un punto nel quale possiamo immediatamente inserire le sostanze che potranno servire. Evviva.
Dopodichè vengo finalmente a conoscenza del perchè mi hanno fatto spogliare: perchè l'intero corpo viene rivestito di elettrodi adesivi. Un enorme elettrodo-cerotto viene applicato sulla coscia, altri sul torace, per l'elettrocardiogramma, altri ancora sulla braccia, e financo sulle dita. ("Tutte queste cose verranno poi collegate alla macchina per l'anestesia, ci sarà una persona che si dedicherà interamente a monitorare le tue condizioni sulla macchina, senza perderti di vista un attimo") Attimo dopo attimo, vengo a conoscenza di un mondo, di una serie di cose che non conoscevo, che sono allo stesso tempo terrorizzanti e affascinanti.
Ok, possiamo andare. Dentro, ti diremo le ultime cose, adesso è ora di entrare.
Sentite, ma mi potete dire cose devo fare io, di preciso? Beh, te lo abbiamo già detto, devi farti una bella dormita!
Un'ultima grazia al condannato a morte, cavalieri: mi sapreste dire che ore sono?
Ma certo, sono le 8.25.

Con gesto teatrale la porta d'acciaio a scorrimento si spalanca, e un'onda gelida mi investe.

Sempre dentro il letto, varco l'ingresso trattenendo il fiato, e finisco in un ambiente luminosissimo.

Alle armi signori! "Qui si vedrà vostra nobilitate".

martedì

Inconvenienti (2 marzo 2010, ore 7.30)

Mi sveglio, o forse sono stato sempre sveglio in queste ultime tre-quattro ore, rivoltandomi continuamente nel letto, credendo di dormire. Alle 7.15 mi levo in piedi, e mi preparo per andare in bagno. Poi voglio fare le cose con rilassatezza, voglio andare in sala operatoria dopo essermi preparato con calma, seguendo i miei ritmi. Rituali molto raffinati che servono a darmi tranquillità. I miei genitori verranno per salutarmi più tardi.
Sono aspettato in sala operatoria per le ore 10, dopo il ragazzino dodicenne, che ieri ha passato l'intera giornata guardando i cartoni in TV, come se nulla fosse.
Entra l'infermiera e mi comunica che il ragazzino ha avuto problemi e quindi l'ordine è invertito.
Si prepari immediatamente, deve scendere in sala operatoria fra un quarto d'ora.
Se è possibile spiegare a sè stessi il significato della parola cortocircuito, ebbene, è quello che mi accade in quel momento. Tutti i miei programmi sono andati a farsi friggere, tutta la mia tranquillità, serenità, aplomb, scomparsa, volatilizzata in un istante.
Cosa porca miseria devo fare adesso?
Entrano nella stanza le addette che dovranno portarmi in sala. Le vedo tutte bardate, in divisa blu elettrico, le immagino come i carnefici che aspettano per portarmi al patibolo, sono entrate lì solo per me. Cominciano ad armeggiare intorno al mio letto, per aggiungere le ruote e renderlo mobile. Ed io, accidenti, che non ho nemmeno il tempo per andare cinque minuti in bagno.
Chiedo all'infermiere di chiamare i miei genitori, almeno li vorrei salutare. Ho la strana sensazione di aver chiesto l'ultimo desiderio del condannato a morte.
Fatemi almeno vedere i miei cari, dovesse essere l'ultima volta....
Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Seguo le istruzioni dell'infermiera.
Si spogli, rimanga solo con gli slip e calzini....
Adesso si metta questa casacca verde...
Si metta a letto.

Arrivano i miei in quel momento. Li abbraccio quasi piangendo, e loro sono imbarazzati, non sanno che dire. Mi tolgo l'apparecchio acustico sinistro e lo consegno a mia madre come se fosse una reliquia. Lo guardo per un'ultima volta. Addio.
Due infermiere mi coprono con una coperta leggera, ne tengono pronta una seconda più pesante. Mi faccio disegnare una gran freccia rossa sulla guancia sinistra, diretta verso l'orecchio.
Signori è qui che dovete lavorare.....
Voorrei mandar già un sorso d'acqua, ma non si può.
Anestesia imminente, verboten.
Arraffo un fazzolettino di carta e comincio a giocherellarci.
...quando massima è la tensione, prendete un oggetto qualsiasi in mano, giocateci e dedicate la vostra attenzione a quello, e non pensate al resto...... .
Il letto si muove, esco dalla stanza scortato e sospinto dalle due infermiere. Chiedo che ore sono. Le 7.35. Voglio ricordarmi questo momento. Dicono che dopo l'anestesia ci si scorda tutto, vediamo se è vero.
Ultimo saluto ai miei, ho l'impressione di stare per piangere. Voglio, fortissimamente voglio rivedervi, tornare a casa, voglio tutto come prima. A dopo!

Il letto attraversa tutto l'ospedale, Nei vari reparti pazienti e parenti mi lanciano un'occhiata e si scansano con fare rispettoso. Attraverso i corridoi con due ali di folla rasente i muri voltate verso di me. Grottesco. Mi vien da pensare: ecco il condannato che va al patibolo.
C'è un orologio appeso alla parete : 7.40.
Arriviamo all'ascensore, le porte si spalancano.
Piano -2
Discesa agli inferi.

lunedì

Notte prima dell'operazione (1-2 marzo 2010)

Mi sveglio alle 3.30 della notte.
Dire notte è eccessivo, perchè nella stanza dell'ospedale non è mai buio, c'è sempre una fioca luce accesa, a filo di parete, che riverbera per tutta la stanza. Le serrande sono sollevate, e al di là dei vetri si vedono gli ultimi palazzi prima della campagna, con le luci dei lampioni a illuminare il tutto. Nemmeno il cielo è buio, a causa delle nuvole che fanno da sfondo.
Di Principe di Condè, quello che dormiva profondamente prima delle battaglie, ce ne è stato uno solo. Io, più modestamente, che non ho voluto tranquillanti nè sonniferi, mi trovo sveglissimo alle tre e mezzo del mattino.

E allora mi alzo dal letto, in pigiama e ciabatte, ed esco dalla stanza. Ovviamente non c'è anima viva. Tutto il corridoio dell'ospedale è illuminato da fioche luci. Ci sono gli infermieri di servizio, ma non mi prestano attenzione. Attraverso tutto il reparto di degenza e vado nella zona dove si affacciano i reparti di riabilitazione: logopedia- audiometria- mappaggi..... Sono nel luogo che nei mesi successivi, se tutto andrà bene, dovrò frequentare con una certa assiduità.
C'è una lunga vetrata di fronte il reparto, che dà sull'esterno. Mi appoggio alla balaustra e guardo fuori, nella notte color inchiostro, con le luci lungo le strade che sembrano tremolare.
Le ombre dei palazzi e degli alberi si stagliano immobili su uno sfondo di nuvole.

E io mi domando cosa sto a fare alle 3.30 del mattino, in pigiama, nel silenzio assoluto, a centinaia di chilometri da casa, dentro un ospedale, fissando attraverso una vetrata per guardare un panorama notturno.

E penso (penso troppo, lo so) che sinceramente non pensavo che sarei arrivato a questo punto, che queste cose capitano sempre agli altri, mai a sè stessi, penso che la mia vita sta per cambiare, penso che ancora adesso, a poche ore dall'intervento, non provo paura, penso che nella vita avevo tanti sogni, tanti desideri, e chissà se li riuscirò mai a realizzare, penso che chissà se riuscirò a mettere su una famiglia, penso a cosa sarebbe stato avere un figlio che dice papà e io che non lo sento e non posso rispondergli, penso quante umiliazioni ho subito in quaranta anni, ma anche quante soddisfazioni, penso che forse ormai sono vecchio e la mia vita è ormai andata, penso che ancora posso combinare qualcosa di buono.

Penso a cosa Dio ha voluto, e vuole ancor oggi da me. E se magari non sia stato lui ad avermi portato fin qui.

Sono le quattro del mattino, mi stacco dalla balaustra e torno nella mia stanza.
Ma prima entro in bagno, accendo la luce e tiro fuori la macchina fotografica.
E' l'ultima volta che vedo, che sento il mio orecchio "al naturale", sono questi gli ultimi momenti che indosso l'apparecchio acustico, dopo quasi quarantanni di onorato servizio. Non lo metterò mai più.
...Onore delle armi, vecchio mio, hai fatto il tuo lavoro magnificamente...finchè hai potuto.
Mi scatto una foto di profilo, con l'orecchio e l'apparecchio acustico in bella mostra.

Torno ad dormire. Manca poco ormai.

domenica

Ospedale (1 marzo 2010)

Entro all'ospedale al mattino presto, subito mi mettono il codice a barre al polso (per l'identificazione, come un prodotto del supermercato) e in men che non si dica mettono in chiaro la situazione: oggi ricovero, domani mattina operazione, siamo in tre, insieme a me c'è anche un ragazzino di dodici anni e una ragazza della mia età, in attesa dell'operazione. Il giorno successivo (terzo giorno) sarà di degenza post-operatoria e il quarto giorno dismissione ritorno a casa. Tutto perfettamente oliato, una vera catena di montaggio, del resto lì le operazioni di questo tipo sono abbastanza di routine.
Subito esami del sangue e delle urine, poi anamnesi, ovvero lunga chiacchierata con i medici per conoscere un pò di più del paziente, infine colloquio con l'anestesista.
Tutte procedure obbligatorie. Mi inalbero solo quando per due volte consecutive sbagliano a scrivere orecchio sinistro e scrivono invece orecchio destro. Sembra la storiella di quello con il braccio sinistro rotto, che si ritrova con il destro ingessato. Alla fine, con un tratto di pennarello (è la procedura standard) mi faccio disegnare una gran freccia rossa sulla pelle, indicante l'orecchio sinistro. Ecco, adesso siamo sicuri: -------> SINISTRO, non destro.

L'ospedale mi piace, piccolo, pulito, gradevole per quello che può essere un ospedale. Noi tre pazienti siamo sistemati in stanze diverse. Vedo quanto siamo diversi. Il ragazzino praticamente non sa nemmeno cosa gli succederà, è lì accompagnato dalla mamma, e guarda ininterrottamente la tv nella sala d'attesa del reparto. La ragazza è un fascio di nervi e ha una fifa blu per l'operazione.
Io dò l'impressione di attendere l'approssimarsi degli eventi senza particolari emozioni.

Passo le ore a letto, a leggere, o passeggiando nei corridoi. Non mi sento nervoso o impaurito, quanto in fatalistica attesa. In realtà sento di non poter far più niente, sento -da ormai molto tempo- che tutto è ormai in altre mani.
Ecco, questa è una sensazione sgradevole. Sentire di essere impotente in qualcosa che riguarda il proprio destino.

I miei mi fanno compagnia seduti nella stanza accanto al letto. Hanno una virtù che apprezzo moltissimo: il saper stare in silenzio per ore, senza dire una parola. Non c'è bisogno di dover parlare per forza, dicendo un sacco di baggianate tanto per tranquillizzare chi ti sta davanti, è di gran lunga preferibile la presenza, l'esserci. Basta la presenza. Eccomi, ci sono. Sostanza, non apparenza. Alzo gli occhi e li vedo. E' sufficiente.
E' la presenza ad essere di conforto, anche senza nessun gesto o parola particolari.

Le infermiere mi offrono i tranquillanti, i sedativi, "qualcosa per stare tranquillo", qualcosa per dormire. Rifiuto tutto.
Rimango digiuno, nè bere nè mangiare, a causa dell'anestesia imminente.

Le ore passano.

Partenza (28 febbraio 2010)

E' arrivato il giorno di andare, partiamo prestissimo, in macchina insieme ai miei, che non vogliono mancare di farmi sentire la loro presenza.
Dobbiamo attraversare metà paese, per fortuna la neve caduta fino a due giorni prima è ormai sciolta, le autostrade non presentano problemi.
Penso ai miei che mi accompagnano e penso che è arrivato un gran giorno non solo per me, ma anche per loro. Già nel 1975 mia madre si interessava "all'oreccho bionico che un giorno arriverà", raccoglieva tutti i ritagli di giornale che parlavano di questa operazione, più che pionieristica, fantascientifica, e mio padre era pronto ad andare un giorno tutti quanti in America per l'operazione.
Vedi come è fatto il progresso, sono passati 35 anni esatti e quel momento è arrivato, ma anzichè in America andiamo a 600 chilometri da casa nostra.
Non c'è niente di "viaggio della speranza", bensì solo di un gran punto interrogativo che mi aspetta.

sabato

Non mi vedrai più così (27 febbraio 2010)

Saluto gli amici più cari, in questi giorni. Quelli che non posso vedere di persona li avviso con un sms. Gli altri, di persona.
Un vecchio amico di università festeggia i quarant'anni, è davvero una insolita occasione per accomiatarci. Il tema della festa, manco a farlo apposta, è "Come Eravamo".
Un tuffo nei nostri anni '70 e '80, musiche, canzoni, oggetti, ricordi.
Mi sembra di passare in rassegna tutta la mia vita fino ad ora, siamo tutti in pieno "nostalgic mood". E tutti con un sospiro, quasi a voler sottolineare "come si stava bene un tempo quando eravamo giovani".
La festa ha per me un effetto strano, mi sembra come un ripercorrere tutte le tappe precedenti, riassumerle in poche ore, per giungere ad adesso. E poi? Cosa ci riserva il domani? Spero che ti sia goduto questi momenti, ragazzo, perchè del domani non v'è certezza....
C'è un significato recondito in tutto questo?

Al termine della festa, lui mi abbraccia con affetto e un gran sorriso: quante ne abbiamo passate insieme! sono più di venti anni che ci conosciamo. Vorrei dirgli in quel momento tante cose. Ma gli dico molto semplicemente, in soffio di voce: amico mio, tu non mi vedrai più così, come sono adesso.
Lui mi guarda con un sorriso sorpreso, come se in quel momento avessi detto una baggianata enorme (non mene stupirei), poi, guardandomi, mi risponde:
"Si, lo so....un domani ti vedrò meglio di adesso".

Ci abbracciamo di nuovo, e stavolta sorrido anch'io.

Ritorno alla Torre (26 febbraio 2010)

Il mare d'inverno, è uno spettacolo particolare.
Niente a che vedere con il mare d'estate, cielo azzurro, bagnanti e aspetto da cartolina.
Sotto un cielo grigio e compatto, una distesa d'acqua con la stessa tonalità, calma e piatta. Solo le onde, in prossimità della spiaggia, ne increspano la superficie. Anche la spiaggia sembra più scura, quasi nera.
Non c'è un'anima viva.
Sono le nove del mattino, sono da solo sulla spiaggia.
Davanti a me la torre medioevale, ormai completamente diroccata e circondata dalle acque. E penso a lei.
Un giorno la portai qui, e l'amico che mi accompagnava mi scattò un foto che ricordo bellissima, in cui lei sembra volare, sospesa per aria per finirmi in braccio, con la torre sullo sfondo. E quella foto non sono più riuscito a vederla. Tienila, gli dissi, conservala, un giorno me la darai. Poi, invece,non l'ho più voluta.
In piedi sull'ultimo lembo di sabbia prima dell'acqua, guardo la torre lambita dall'acqua, lì da secoli, immota, silenziosa e sempre presente, e penso a lei, a quella fotografia, a quanti momenti abbiamo passato insieme.
E al fatto che alla fine l'ho ritrovata, e il modo in cui l'ho ritrovata.
E nel mezzo di una giornata uggiosa, ritrovo il sorriso, sento di non dover più aver paura.

Dall'ospedale mi chiamano per chiedere conferma.
Tranquilli ragazzi, sono tutto vostro.
Verrò ad operarmi, ma, ora, con tutt'altro spirito.