Perché la maggior parte delle persone sorde non riescono a cantare, o almeno ad
essere ben intonate?
La risposta classica è “perché non ci sentono” (e quindi non
possono seguire il ritmo e la melodia). Niente da obiettare.
Ma la questione diventa più sottile: consideriamo le persone
adulte che hanno fatto l’impianto cocleare dopo aver passato molti anni di
sordità profonda, ovvero nel “mondo del silenzio” (espressione vaga ma che
rende l’idea), ebbene, come mai la stragrande maggioranza di queste persone non
riesce a cantare correttamente una canzone, dopo averla ascoltata?
Almeno in teoria, con l’impianto cocleare, essi
dovrebbero essere in grado di sentire la musica, le parole, il ritmo, e quindi saper cantare.
E
invece no. Provate a chiedere a queste persone sorde di cantare, e sentirete
che sono assai stonate. E magari appena pochi minuti prima hanno dimostrato di
saper seguire una conversazione al telefono, ascoltare un dibattito in TV,
ascoltare il telegiornale alla radio.
Alcuni dicono: questi sordi adulti non sanno cantare -anche
se apparentemente ci sentono- perché non si sono mai allenati a cantare. E
probabilmente hanno ragione. Ma il discorso è assai più complesso.
Che cosa significa “saper cantare” per una persona sorda?
L’osservazione di queste persone sorde adulte -con impianto
cocleare- presenta riscontri molto, molto interessanti, che possono aiutare a
capire meglio il problema.
Fate questo semplicissimo esperimento: prendete alcune
persone normoudenti, davanti a una tastiera di pianoforte, e fate loro
ascoltare una nota musicale qualsiasi, fatta a voce. Consideriamo un caso
semplicissimo, basta esclamare “AAAAAAA....” ad alta voce. Adesso chiedete a queste
persone di “cercare la nota” sul pianoforte. Che cosa farà la maggioranza di
queste persone normoudenti, che magari non ha troppa preparazione musicale
specifica? Comincerà a schiacciare i tasti del pianoforte in sequenza uno dopo
l’altro, e alla fine dopo vari tentativi, magari facendo ripetere il vocalizzo
per avere certezza, dirà: “Ecco! la nota era questa”.
Adesso prendete una persona sorda adulta con impianto cocleare,
e con un lungo passato di sordità alle spalle, e fategli fare lo stesso
esercizio.
Colpo di scena: nella stragrande maggioranza dei casi NON
sarà capace di trovare la nota sulla tastiera del pianoforte. Eppure l’ha
sentita! Come è possibile?
Per capire cosa è successo, facciamo un passo indietro. Quel
suono appena ascoltato (“AAAAAA…”) era un insieme di tre elementi, che si
presentano tutti e tre insieme.
1) L’intensità, ovvero il volume.
2) Il timbro, ovvero il “proprietario” della voce
(per esempio, Mario è diverso da Maria) o del suono che esce fuori dallo
strumento musicale (ovvero il suono “tipico del pianoforte”, che è diverso dal
suono “tipico della tromba”).
3) E infine la frequenza o “altezza” (il suono è “più
acuto” oppure “più grave”)
Ebbene, le persone normoudenti riescono a essere consapevoli
di queste tre caratteristiche concomitanti.
Le persone sorde invece, ed è molto singolare, sembra che NON
RIESCANO a “afferrarle” tutte e tre insieme. Ne afferrano una, magari due, ma non tutte e tre.
Una persona sorda con l’impianto cocleare riuscirà a dire se
il suono ha un volume maggiore o minore di un altro; riuscirà anche a dire se
una frequenza è più acuta o più grave;
riuscirà persino a dire “quella era una chitarra, mentre quell’altra era
una tromba”.
Insomma, se consideriamo la singola caratteristica
del suono (volume -timbro -frequenza), la persona sorda più o meno “se la
cava”.
Quando si cerca di prendere le caratteristiche dei suoni
a due per volta, il compito diventa più complicato.
Vogliamo provarci?
Dopo un po’ di pratica e di tentativi, la persona sorda forse arriverà a dire “quello era il suono di un pianoforte, ed era più tenue di
quell’altro suono, che era prodotto da una tromba” (siamo riusciti ad azzeccare
contemporaneamente due delle tre caratteristiche: esattamente l’intensità/volume
e il timbro. Complimenti!)
Ma forse dirà anche: “Quei due suoni mi sembravano ambedue di
pianoforte, ed erano il primo più acuto, mentre il secondo più grave” (abbiamo
riconosciuto il timbro del pianoforte e la frequenza)
E forse ancora “quei due suoni erano probabilmente lo stesso tasto
di pianoforte, ma il primo era più forte, e l’altro più debole (abbiamo
riconosciuto timbro e intensità/volume ).
Ma è quando si cerca di riconoscere tutte e tre le
caratteristiche del suono contemporaneamente, che il compito appare (quasi)
impossibile.
“Se ti faccio sentire il SOL del pianoforte, mi sai dire quando il SOL del pianoforte è uguale al SOL della voce?”
La persona sorda a questo punto si guarda intorno smarrita.
Potrebbe dirvi se la voce umana è più forte o più debole del
suono del pianoforte.
Potrebbe dirvi quale dei due suoni è la voce, e quale il
pianoforte.
Potrebbe dirvi persino –in maniera molto grossolana- quale
dei suoni sembrerebbe essere più acuto o più grave, tenuto conto che sono due
“strumenti musicali” differenti.
Ma andare a riconoscere il SOL su voce e poi su strumento
musicale, bè, quello sembra un compito al di là della proprie possibilità. Un
compito del genere comporta il saper padroneggiare tutte e tre le
caratteristiche del suono.
E la cosa è ancor più complicata dal fatto che nemmeno dopo
aver ascoltato a ripetizione uno dei due suoni sembra possibile riconoscere
l’altro. Dopo aver ascoltato il SOL del pianoforte, sembra impossibile “andare
a ritrovarlo” con la propria voce. E viceversa.
In altre parole: sembra che la persona sorda senta il suono
senza riuscire a slegarne i componenti tra di loro. Nel suo cervello, cioè, non
appaiono contemporaneamente i concetti di “volume”, “timbro” e “frequenza”
Ecco spiegato il possibile motivo del perchè la persona
sorda non riesce a cantare in maniera intonata: perché non riesce a
padroneggiare (e a “tradurre”) perfettamente tutte e tre -e allo stesso tempo- le caratteristiche del
suono.
Se la persona sorda ascolta una melodia di pianoforte, non
riuscirà a riprodurla a voce in maniera corretta, dal momento non riesce a
impadronirsi e a “tradurre” tutti e tre insieme gli elementi del suono
(del pianoforte), negli equivalenti elementi “adattati” alla propria voce.
Non è un problema di "riconoscimento" dei singoli elementi: è un problema di riconoscimento di tutti e tre gli elementi insieme.
Ma è possibile riuscirci? Qui per fortuna arriva una lieta
nota. Secondo i cantanti professionisti che ho interpellato, a meno di essere
in presenza di un vero e proprio disturbo neurologico, la risposta è: sì, è
possibile.
Bisogna tener infatti presente che, come recita un motto ben
conosciuto nel mondo del canto, “l’orecchio è un muscolo”. E come tale, va
allenato. Una persona sorda adulta infatti non ha mai veramente “sentito”. Ha
una esperienza molto ridotta in fatto di “suoni”. E ancora più ridotta nel
fatto di “prestare attenzione a quello che si ascolta”.
E come se non bastasse, comincia ad “ascoltare” in età già
adulta. Anche i bambini (normoudenti) cominciano da zero, ma cominciano ad
ascoltare fin dal primo momento, l’adulto (sordo con impianto cocleare)
comincia da zero ...quando ha già una certa età.
Quale è l’elemento che ci è di conforto? E’ questo: il fatto
che la persona sorda adulta con impianto cocleare riesca ad avvertire -e ad
essere consapevole- delle tre componenti del suono, qualora vengano prese
singolarmente, e talvolta anche a gruppi di due.
E’ già di buon auspicio.
Il cervello di questa persona riesce a tener conto
singolarmente di volume, timbro e frequenza, riesce persino talvolta a “tarare” due
caratteristiche per volta, sulle tre in totale. Bisogna trovare un modo per riuscire a
“prenderle” tutte e tre insieme.
E’ un discorso, se si vuole, affascinante.
A questo punto il problema diventa un altro. Saper mettere a
punto un allenamento adeguato. E avere tanta buona volontà.
(vorrei ringraziare l’esperto di musica Roberto Baldassari
per le lunghe discussioni sull’analisi dei suoni in musica; e le dottoresse
Serena Crincoli e Teresa Pantusa per il lavoro e l'interesse in questa
tematica)