giovedì

Grazie di tutto, dottor House!





(William House gioca a "Forza4" con una piccola paziente, anno 1984)



" GRAZIE DI TUTTO, DOTTOR HOUSE "

Il giorno 11 dicembre 2012 , all'età di 89 anni, è scomparso William Fitzgerald House, alias "zio Bill" o "il dottor House", come simpaticamente veniva chiamato. A molte persone il nome di William House non dirà molto, tuttavia è degno di nota il fatto che, tra le altre cose, nel lontano 1960 fu l'inventore dell'orecchio bionico, poi chiamato più correttamente impianto cocleare. I primi modelli erano rudimentali, addirittura fino al 1968 quasi inutilizzabili dal momento che solo in quell'anno si scoprì come utilizzare il silicone, una sostanza inerte che permette di inserire corpi estranei metallici nell'organismo umano con buone possibilità di non provocare rigetto. Per tutti gli anni '70 studiò il modo per migliorarli, e finalmente all'inizio degli anni '80 si riuscì ad avere il permesso della Food and Drug Administration per la commercializzazione. E il resto è storia.
Il nome di William House è legato anche ad altri scoperte (è considerato il padre della Neuro-otologia) e per fatti di cronaca che fecero clamore all'epoca (nel 1972 si trovò a dover curare l'astronauta della missione Apollo 14 Alan Shepard, che soffriva di vertigini e si era visto revocare il permesso per andare nello spazio. Al termine della missione, l'astronauta Shepard ringraziò pubblicamente il dottor House dicendo che, grazie a lui, era riuscito a mettere piede sulla Luna).
William House era un pò un pesce fuor d'acqua nell'establishment medico, e negli ultimi anni pubblicò la sua (amara) autobiografia, intitolata "The Struggles of a Medical Innovator"
(http://www.audiologyonline.com/interviews/interview-with-william-house-m-1337)

Tuttavia, la cosa più triste è che la scomparsa di William House è passata quasi completamente sotto silenzio: oltreoceano il Los Angeles Times ha dedicato un articolo in memoria, in Europa quasi niente, e non parliamo del nostro paese.
Oggi la scoperta più importante del dottor House, seppur assai diversa da come lui l'aveva ideata, è utilizzata da più di duecentomila persone (di cui circa dodicimila in Italia).
Ecco, io penso che, se la sua scomparsa è passata inosservata, ebbene, qualcuno che dica "Grazie, dottor House!" ci debba essere.
Un minimo di gratitudine è doverosa, per chi sembra essere stato dimenticato troppo in fretta.


 

domenica

Lettera ad un amico


Carissimo Paolo,

rispondo molto volentieri alla tua richiesta di “dare una risposta” da parte mia a tutto il diluvio di critiche che negli ultimi mesi – ma forse fin dal primo momento- si sono accumulate intorno al problema dell’impianto cocleare o orecchio bionico, come a molte persone piace chiamarlo. Critiche che arrivano per la maggior parte da persone interessate, e solo in pochi casi da persone genuinamente al di fuori di interessi di parte. Ti risponderò quindi prima in maniera analitica, obiezione per obiezione, e poi al termine farò una conclusione “ a sorpresa”, come il finale di un film, che potrà risultare un po’ amara, ma sarà una degna conclusione a tutte le polemiche.
Tuttavia, bando alle ciance ed andiamo per ordine, cercando di suddividere le varie critiche per tipo di argomentazione.


L’impianto cocleare “non serve a niente”, non funziona, è una truffa colossale che si è spinta così in avanti che adesso è impossibile fare marcia indietro, e tutti dicono che funziona, perché non possono più dire altrimenti.
Che l’impianto cocleare “funzioni”, dopo trenta anni di studi ed esperienze pionieristiche, e dopo almeno dieci anni di utilizzo intensivo, penso che sia assodato. Sul “come” funzioni, si può e si deve discutere. Ma è sul “quanto” funzioni, che il discorso si fa più interessante. L’impianto cocleare (e questo in pochi l’hanno capito) ha un successo che è proporzionale, tra le altre cose, all’impegno profuso da parte della persona. Quante persone si sono realmente sforzate di trarre il meglio dall’impianto cocleare? Quante persone lo sfruttano appieno? E quante invece lo utilizzano a una frazione minima delle sue capacità? Quella che è una critica rivolta all’impianto cocleare, a ben vedere, è una critica rivolta agli utilizzatori che in molti casi, non sfruttano l’impianto come dovrebbero. E, va aggiunto, non sempre per colpa loro. Nel corso degli anni infatti l’impianto cocleare è stato utilizzato anche su soggetti che non ne presentavano l’idoneità, oppure consigliato da medici che avevano altri interessi, oppure senza che vi fosse un adeguato trattamento post-intervento, che è importantissimo e spesse volte trascurato. Tutte queste cose possono aver nuociuto ed hanno contribuito certamente agli “insuccessi”. Insuccessi che ci sono stati, e non vanno tenuti nascosti.
Parimenti, dopo tanti anni è assodato che l’impianto cocleare non ridà un udito perfetto, bensì aiuta a sentire meglio: l’udito è artificiale, può arrivare a funzionare davvero bene in condizioni di quiete, funziona invece male in condizioni di frastuono. Per arrivare a “sentire” al meglio delle possibilità offerte, però, non è sufficiente mettere l’impianto cocleare e poi dimenticarsene, al contrario sono necessari lunghi sforzi, talvolta anche anni di “ri-educazione” sonora, e tanta buona volontà (che spesso difetta).
Per concludere, i detrattori “a priori” si mettano l’animo in pace: l’impianto cocleare funziona, funziona bene se si impara a sfruttarlo (e la cosa richiede tempo e fatica), non è indicato per tutti, non ha senso utilizzarlo nei casi di sordità lievi o medie, e nel futuro è destinato a venir ridimensionato quando arriveranno le cellule staminali che “ricostruiranno” l’udito, la cui sperimentazione è già a livello avanzato.


L’impianto cocleare è innaturale, e serve ad ingannare i sordi adulti che si illudono di “tornare a sentire”.
Anche in questo caso bisogna ribadire che l’impianto serve per sentire meglio, oppure, nei casi più gravi, per “sentire qualcosa”; e non per tornare normoudenti. Tuttavia, una domanda nasce spontanea: chi fa l’impianto cocleare, perché lo fa? Per gioco o per necessità? Lo fa per necessità. L’impianto cocleare è una necessità, è l’ultima carta da giocare per non sprofondare nella più totale assenza di suoni. E se qualcuno, e ce ne sono, obietta che in fondo si può benissimo “rimanere sordi”, vivere tranquillamente nel mondo del silenzio, significa che non ha capito che il mondo sonoro è parte integrante della vita dell’essere umano. Che poi a pontificare di “meraviglie del mondo silenzioso” siano persone perfettamente normoudenti, è offensivo oltre misura.
Se si potesse scegliere tra” essere sordi” e “essere udenti”, con possibilità di cambiare da una condizione all’altra, a piacimento, allora sarebbe una libertà della persona; ma se la sordità è una condizione obbligata, allora è una costrizione. Ma di questo pochi sembrano ricordarsene.



L’impianto cocleare serve solo a illudere i genitori dei bambini sordi, che sperano che i loro figli diventino “udenti”.
Mettiamo per l’ennesima volta in chiaro una cosa, e cioè che l’impianto cocleare non fa “diventare udenti”, bensì aiuta le persone sorde a “sentire meglio”….. per quanto riguarda i “genitori che si illudono” trovo che questa sia un’accusa semplicemente infame: è forse insano il desiderio dei genitori che scoprono di avere un figlio sordo, che torni il più possibile a sentire, ad imparare a parlare, a far sì che abbia una vita il più possibile normale? (ho scritto “normale”: altra parola che in questi tempi sembra essere diventata una bestemmia…)
Si badi bene che qui non stiamo parlando di necessità dell’impianto cocleare nei bambini, l’impianto non è necessario a priori, se un bambino fa ottimi progressi con l’apparecchio acustico – e la maggior parte di loro li fa- ben venga l’apparecchio acustico.


L’impianto cocleare è troppo pericoloso, di impianto cocleare si muore.
Quante volte abbiamo sentito dire questa frase? Farei semplicemente una statistica: quanti morti ci sono stati di fronte a oltre duecentomila operazioni di impianto fino ad oggi? La statistica dice che i decessi sono stati lo zero virgola zero zero zero zero…e qui mi fermo.


L’impianto cocleare è un business miliardario ed è fatto sulla pelle delle persone sorde.
Qualsiasi cosa fatta a carico dei malati, oppure alle persone disabili, e più in generale di chi si trova in condizione di bisogno, diventa facilmente “business miliardario”, da sempre. Ma nel nostro specifico caso, in quanti si sono accorti che il costo complessivo dell’impianto cocleare si è dimezzato negli ultimi dieci anni, e allo stesso tempo è migliorata la qualità tecnologica? L’accusa andrebbe piuttosto rivolta a coloro che hanno consigliato (interessatamente?) di fare l’impianto cocleare, senza i sufficienti controlli e senza verificare l’idoneità dei soggetti, dando luogo ad insuccessi, a persone che si dicono scontente (e che comunque sono piccola minoranza, ma nessuno lo dice)



L’impianto cocleare è stato un complotto inventato per distruggere il popolo dei Sordi e la cultura Sorda.
Dubito molto che William House prima, e Graeme Clark successivamente, che misero a punto l’impianto cocleare, avessero come obiettivo ultimo e segreto quello di distruggere un popolo e i suoi usi e costumi. Chi ha costruito l’impianto cocleare aveva come obiettivo primario quello di riuscire a far sentire i suoni a chi era sordo, e il business è arrivato in seguito. Poi, il fatto che un ritrovato del progresso tolga spazio o ridimensioni le realtà preesistenti fa parte della storia naturale delle cose: l’invenzione dell’automobile ha molto ridimensionato le carrozze con cavalli, l’aereo ha ridimensionato il trasporto navale, il televisore a LED o al plasma hanno mandato in soffitta il vecchio tubo catodico. Similmente, l’apparecchio acustico prima e impianto cocleare poi hanno dato uno scossone alla sordità come era stata per lungo tempo definita. Tra qualche anno, le terapie a base di cellule staminali ridimensioneranno molto l’impianto cocleare e l’apparecchio acustico. Bisogna imparare a vedere le cose nell’ottica di un progresso continuo, e non pensare necessariamente in funzione di “complotti”, “genocidi”, e altro.
Un’ultima osservazione: se è previsto fra pochi anni l’arrivo delle terapie a base di cellule staminali che “guariranno” nella maggior parte dei casi la sordità, che senso ha questo livore nei confronti dell’impianto cocleare? E’ solo una questione di tempo….



Voi portatori di impianto cocleare vi credete padreterni e vi comportate in maniera disgustosa nei confronti di tutti gli altri.
Ho perso il conto delle persone che mi hanno confidato che dopo aver detto che si sarebbero sottoposti ad impianto cocleare, sono state trattate con gran disprezzo da parte di molte delle persone e “amici” che avevano accanto; trattate quasi da traditori, oppure da gente a cui aveva dato di volta il cervello.
Prima di parlare di impiantati che si credono padreterni, parliamo piuttosto di impiantati che vengono trattati come reietti.


Chi difende l’impianto cocleare lo fa perché ci guadagna.
Se questo fosse vero, si potrebbe dire lo stesso anche dei detrattori: chi parla male dell’impianto cocleare, è perché ha interessi opposti da salvaguardare. Senza fare ragionamenti arzigogolati, sono ben pochi quelli che difendono gli impianti cocleari a spada tratta e per partito preso, giusto coloro che hanno interesse personale ed economico. Gli altri, la maggioranza, non direttamente coinvolti negli aspetti economici, non hanno motivi di partigianeria. L’impianto a costoro serve per sentire meglio, se svolge bene il suo lavoro, tanto basterà per parlarne bene, senza che ci siano obbligatoriamente altri interessi in gioco. Chi vede un bel film in tv o al cinema e ne parla bene con i vicini di casa, non lo fa perche è in combutta con il regista, gli attori e i produttori, per fargli pubblicità. Similmente chi usa l’impianto cocleare e ne è soddisfatto, ne parlerà bene, senza che ciò significhi essere d’accordo con il brand, i medici, i terapisti.



Chi porta l’impianto cocleare non è un esperto del settore, e non dovrebbe dispensare consigli a destra e a manca.
Mi viene in mente la storiella dei piloti di Formula1: non sono ingegneri, dal momento che non hanno progettato la vettura; non sono fisici, perché non sanno niente di aerodinamica; non sono meccanici, infatti non sanno niente di regolazione dei motori; non sono tecnici, dal momento che non sanno nulla di telemetria, né di consumo delle gomme, né di inclinazione degli alettoni. Pertanto, seguendo questi ragionamenti, il pilota di Formula1 non è un esperto di Formula1. Ma allora a che serve il pilota di Formula1? A niente! L’unica cosa che viene chiesta loro, è di mettersi al volante ad arrivare al traguardo: possibilmente in prima posizione……
Battute a parte, fin dai tempi pionieristici la testimonianza dei pazienti è stata fondamentale nello sviluppo e nel perfezionamento degli impianti cocleari. Per cui, a mio parere, il problema è esattamente l’opposto: ci sono troppe poche persone che danno consigli, che mettono per iscritto sensazioni e pareri, che lanciano suggerimenti, che cercano di far capire “come funziona”, che cercano trucchi e metodi per “sentirci meglio”.
Più gente scrive, più persone comunicano le proprie impressioni, maggiore è la casistica, i motivi di riflessione, e quindi i progressi.



Si cerca di fare l’impianto cocleare a tutti, anche quando non serve.
In verità questa obiezione era più comune in passato che adesso, ed è/era anche fondata su basi valide. E’ assurdo fare l’impianto a tutte le persone sorde. L’impianto non è un fine, bensì uno strumento. L’impianto riguarda solo una piccola minoranza, non è indicato per tutti, ma solo per alcuni. L’impianto non dà risultati in automatico, ma solo dopo un gran lavoro e tanta fatica. Ma allora perché si difende l’impianto? Molto semplicemente perché, in alcuni casi, è lo strumento migliore per ovviare al problema. E questo, si badi bene, non significa difendere l’impianto in maniera cieca e faziosa. Né significa necessariamente aver qualcosa da guadagnarci.



Conclusione….

Caro Paolo, a che serve –in concreto- tutto quanto scritto sopra? A nulla, assolutamente a nulla.
E ti spiego subito il perché.
Per quello che mi riguarda, sono assai disincantato sul problema: a molti interessa la “categoria” delle persone sorde, a pochissimi interessa il benessere della singola persona. Dove c’è situazione di bisogno, dove c’è categoria di persone accomunate da una caratteristica o deficit, ecco, lì si scatenano appetiti vari, e la singola persona è ridotta a ….nulla.
Cerco sempre di inquadrare ogni problema in ottica storica, cercando di andare oltre l’istante e le esigenze attuali. Il problema “sordità”, in tale ottica, è assai lineare. Negli ultimi cinquanta anni la tecnologia e la ricerca hanno fatto passi da gigante, e la sordità è ora un fenomeno in via di progressivo ridimensionamento. L’impianto cocleare è stato/è solo un passaggio tecnologico intermedio, destinato ad arrivare ad un picco e poi progressivamente ridursi, in attesa che si arrivi all’utilizzo delle cellule staminali, le quali, ricostruendo le cellule uditive, permetterebbero (il condizionale è d’obbligo) il ritorno ad un udito naturale.
Tutto bene allora? Purtroppo no.

Parimenti, negli ultimi trenta anni, da un periodo di floridezza economica, si è passati un periodo di grande crisi, e la solidarietà e il “venir incontro all’altro” si sono invece molto ridotti.
Quello che stiamo vivendo ora è un periodo paradossale, caratterizzato da altissimo contenuto tecnologico e bassissimo contenuto di valori umani.
Le persone sorde, così come tutti gli altri, si trovano a vivere tra lo stato dell’arte della tecnologia da una parte, e il completo disinteresse della società dall’altro. Non vorrei essere profeta di sventura ma la mia sensazione è che ci aspettano innanzi tempi assai duri; ed è tempo che le persone sorde si prendano le proprie responsabilità e facciano affidamento su sé stesse. Compito molto difficile, per tutti coloro che hanno vissuto molto tempo sull’assistenzialismo.
Alla luce di questi fatti, le critiche che ci sentiamo rivolgere sull’impianto cocleare cosa sono? Nulla, meno che niente.

Molta gente critica l’impianto cocleare? La risposta dovrebbe essere, in maniera rude: “ecchissenefrega”. Perché? Perché tra poco arriveranno altri problemi più gravi, più complessi. Le persone sorde, tutte, senza distinzione, protesizzati, impiantati, segnanti…. rischiano di trovarsi in condizioni peggiori che nel passato. Tutta l’assistenza del passato, sanitaria, sociale, del lavoro e dell’istruzione, è messa a repentaglio, e quando un paese entra in fase di crisi, le categorie più deboli sono sempre le prime a pagare.


Per cui, la mia conclusione è: mettete in secondo piano le critiche sull’impianto cocleare, o sulla lingua dei segni, o su altro; pensate piuttosto al futuro –difficile e complesso- che ci attende. Questo non è pessimismo, ma è realismo.


Amici miei, rimboccatevi le maniche e…. pedalate. Se la strada è stata in pianura fino ad adesso, è probabile che alla prossima curva inizi la salita.

Un abbraccio,






lunedì

Avere le idee chiare

Un pò di statistiche:

Alunni con problemi di udito nelle scuole italiane, "scuola elementare + scuola media", nel 2009, secondo il Ministero della Pubblica Istruzione: circa 3500
Alunni con problemi di udito nelle scuole italiane , sempre "scuola elementare + scuola media", sempre nel 2009, secondo l'ISTAT : circa 7500

"Sordomuti" in Italia, secondo le associazioni di categoria: circa 70mila.
"Sordomuti" in Italia, certificati tali, secondo l'INPS: circa 40mila.
"Sordomuti" in Italia, secondo l'ISTAT: 92mila
"Sordomuti" in Italia, secondo altre fonti che si richiamano all'ISTAT: circa 50mila
"Sordomuti" in Italia, secondo le statistiche sanitarie: circa 20mila.

"Il fatto che non esistano numeri precisi sulla sordità è importante, perchè così ognuno può affermare ciò che desidera, e che gli fa più comodo in quel momento" (cit.)

mercoledì

Quanti sono i "sordomuti" in Italia?



Recentemente si sono lette numerose cifre sul numero dei "sordomuti" in Italia. Fermo restando che secondo la legislazione italiana questo termine è stato abolito in quanto obsoleto, è opinione diffusa che non si conosca con precisione il numero dei "sordomuti" in Italia, e tutto quello che si può sapere è una approssimazione statistica. Si parla di "sessantamila Sordi", altrove si legge "settantamila", oppure "circa novantamila", e anche "quasi centomila". Ma non ci sono cifre reali? Sembrerebbe di no, in quanto, a voler chiedere in giro, non esistono documenti ufficiali che comprovino una determinata cifra.
In realtà non è così. Un documento ufficiale esiste, ed è un documento ufficiale dell' "Ente Nazionale Sordomuti" di qualche anno fa in cui il numero di "sordomuti italiani" è riportato con grande precisione, in quanto risultato di un censimento effettuato dalle varie sezioni provinciali. Ed è quello che potete vedere nella fotografia sottostante, un documento su carta intestata ENS, firmata dall'allora Presidente dell' Ente Nazionale Sordomuti A. Giuranna, e dall'onorevole deputato S. Bottini.
In Italia nel 1993 vivevano circa 21.500 "sordomuti adulti che usano quasi esclusivamente il linguaggio gestuale". Stimando la popolazione italiana in circa 57 milioni di persone, ne risulta che nel 1993 la percentuale di sordomuti sulla popolazione era di circa 0.04 % ( ovvero: 4 su diecimila )
Non abbiamo motivo di dubitare di queste cifre, che provengono dall'Ente preposto alla tutela e assistenza dei sordomuti.
Ci si può domandare come sia cambiata questa cifra dal 1993 ad oggi: personalmente ritengo che, se non è calata (vecchiaia, morte), non è neppure aumentata (screening uditivo, impianti cocleari, maggior informazione sulla sordità eccetera). Per cui, si può prendere per buona questa cifra. Le persone sorde in Italia che usano la lingua dei segni (che nel documento del 1993 si continua a chiamare "linguaggio gestuale") sono circa ventimila. 


martedì

Test musicali: sempre più difficili....


Allora, in un post precedente si era parlato di "sordità musicale" (o tonedeafness), ovvero quella particolare condizione per la quale non si è in grado di poter dir nulla a proposito di musica. C'erano un paio di test per poter verificare la capacità di distinguere se due frammenti musicali erano uguali tra loro o diversi, e molte persone di buona volontà erano riuscite ad avere risultati, se non buoni, almeno passabili. Qualcuno, temerario, si era talmente divertito da chiedere altri test di quel tipo.
Bene, qui trovate davvero pane per i vostri denti. Questo test è costituito da un'unica batteria di 36 prove, nelle quale bisogna dire, come sempre, se i due frammenti musicali ascoltati sono DIVERSI oppure UGUALI, e posso garantire che è VERAMENTE DIFFICILE. Arrivare al 90 % di risposte esatte è davvero un'impresa, anche per i musicisti professionisti.
Dal momento che premendo i pulsanti a caso avrete un punteggio di circa il 50%, un buon punteggio sarà a partire da >60%.
Il test lo trovate qui: http://jakemandell.com/tonedeaf/ (scorrete fino in basso nella pagina che apparirà), e avete bisogno di Flash Player per poterlo eseguire, oltre a ovviamente casse acustiche o cuffie. Al termine troverete le risposte esatte o sbagliate, e il vostro punteggio.
Se siete sordi/con orecchio bionico è probabile che otterrete un basso punteggio, ma non scoraggiatevi e continuate ad esercitarvi.
Ricordate sempre, l'esercizio è (quasi) tutto.

mercoledì

Home Training Uditivo per tutti.

Riprendendo un post del buon Davide ( cocleareitaliano.wordpress.com ) , i famosi esercizi di "home training uditivo" per la riabilitazione all'udito con impianto cocleare, realizzati da Burdo-Poggia-Giuria sono stati messi gratuitamente alla portata di tutti. Per chi non li conoscesse, risalgono agli anni '90, sono mediamente assai facili da seguire, ma possono essere sempre validi per alcuni pazienti.
Il corso è costituito da 8 CD : cinque per la terapia adulti, tre per la terapia infantile. In più, un volume (in formato .pdf, avete bisogno di un .pdf Reader) riportante i testi contenuti all'interno di ogni CD.
Tutto il "malloppo" si trova al seguente indirizzo:
http://www.audiovestibologia.it/audiovestibologia/HOME_TRAINING.html
e va scaricato sul proprio computer. Successivamente, essendo in formato compresso .rar, andrà decompresso (avete bisogno di Winrar o simili), e finalmente i singoli CD saranno utilizzabili, dirattamente dal proprio PC oppure, volendo, "masterizzabili" su disco vero e proprio.
Buon Training!

giovedì

Due anni di ginnastica visiva.

“Ma perché non scrivi qualcosa sulla tua esperienza?”
Così mi chiese il buon David de Angelis qualche tempo fa. Risposi di sì, che lo avrei fatto, ma senza specificare quando. In realtà, volevo essere certo di cosa scrivere, soppesare bene le parole, non scrivere di getto, cosa che mi pare poco “scientifica” (giusto per precisare, sono un biologo, ho lavorato per anni nei laboratori di ricerca). Sono poi andato a riprendere le mie vechie cartelle cliniche  per essere certo della comparazione dei risultati.
Oggi sono passati due anni da quel giugno 2010, quando incominciai la “ginnastica visiva”, e penso di poter dire che è passato abbastanza tempo per buttar giù due righe. Chi mi conosce sa che ho sempre avuto problemi di vista, e ancor più di udito (della serie: non ci facciamo mancare nulla), e a causa della miopia molto elevata non ho potuto sottopormi alla chirurgia laser. I medici, onestamene, mi hanno sempre detto che con -16 di miopia (sono andato a ricontrollare i vecchi referti) era meglio non toccare gli occhi.

“Meno sedici” di miopia? Sembra una barzelletta.
“Meno sedici” ad un occhio, “meno tredici” all’altro. Riesce persino difficile capire come si sia arrivati a questi livelli. Per una volta posso dare la colpa ai medici dell’epoca che mi avevano in cura, i quali sbagliarono tutto lo sbagliabile, e mi portarono a un orrendo “meno dieci” giù ai tempi della scuola elementare. Fondi di bottiglia al posto degli occhiali già nelle prime classi, insomma. Per poi peggiorare gradualmente ed arrivare a “meno sedici”. Molta gente ha difficoltà a capire cosa significhi “meno sedici”: significa, né più ne meno, che senza correzione si hanno difficoltà a distinguere persino i colori, non parliamo dei contorni degli oggetti e tantomeno delle fattezze delle persone. Certo, ci sarebbero state le lenti a contatto rigide, ma, ragazzi, quanto sono fastidiose….. tutto questo uesto fino a giugno 2010. Quel giorno infatti trovai in una libreria il libro “Come sono guarito dalla miopia”, di David de Angelis. Offerta speciale, prezzo scontatissimo…. e poi avrei capito il perché.
Ora è d’obbligo una premessa: essendo di formazione scientifica, ho una particolare avversione per la pseudoscienza che oggi impera a tutto spiano (vedi “Non siamo mai stati sulla Luna” et similia...), pertanto, visto un libro dal titolo così chiaro e netto, ho utilizzato il consueto trucchetto che di solito si usa per capire- in maniera sommaria- se la pubblicazione che abbiamo in mano è “scientifica” o no: e cioè afferrare il volume dall’ultima pagina, e iniziare a leggere il libro dalla fine, mai dall’inizio. Questa è una maniera elegante per dire che si comincia a vedere se c’è una bibliografia: se un libro con pretese scientifiche manca di bibliografia, scartatelo tranquillamente: la sua validità è prossima allo zero. Chi fa scienza vera, infatti, sa benissimo che niente si inventa ex-novo, ma tutto si evolve a partire da posizioni pre-esistenti, delle quali bisogna tener conto. Non si pensi male: non avete idea di quanti libri ci troviamo sottomano quotidianamente con "pretese scientifiche". Per lavoro, ne so qualcosa. Vorrei avere un euro per ogni libro che mi sono trovato in mano che prometteva cose mirabolanti: sarei ricco.
Pertanto una solida bibliografia è indice di serietà, e in questo caso il libro di De Angelis colpisce subito nel segno: pagine e pagine di bibliografia. In più, avendo dimestichezza con riviste mediche, ho notato subito la presenza in bibliografia di svariate riviste di notevole “impact factor”, indice di qualità.
Favorevolmente impressionato, decisi quindi di dare a questo libro una possibilità.
Arrivato a casa, scoprii il motivo dello “scontissimo”: era dovuto al fatto che si trattava della prima edizione, e intanto ne era uscita una seconda, arricchita con nuovi capitoli. Come scoprii più tardi, tuttavia, i concetti basilari erano già presenti nella prima edizione, quindi…. poco male.

Ma veniamo al dunque: il metodo “de Angelis” per correggere la miopia, su cosa si basa? Ecco, qui non vorrei entrare nel dettaglio –farei un torto all’autore- l’importante è dire che si basa sul concetto di “riabilitazione” dell’occhio in modo da fargli riacquisire la corretta visione perduta, perché va detto che la miopia è una condizione “reversibile”, e non “irreversibile”. Si può correggere con la chirurgia, certamente, ma anche con un opportuno allenamento. Se poi ci si trova in una condizione come la mia di non operabilità, hai poche scelte: o si mettono gli occhiali, oppure si impianta il cristallino sintetico, lenti fachiche, eccetera, tecniche anche queste sconsigliate nel mio caso. L'altra possibilità è quella di cercare di limitare i danni con una ginnastica visiva mirata. E questo è stato il mio caso. E’ chiaro, tuttavia che qui si parla di miopia pura, senza altre patologie concomitanti.

Una cosa simpatica -a mio avviso- e che mi ha facilitato, è stato notare il fatto che molte espressioni nel libro di David de Angelis sembrano mutuate dal mondo della cultura fisica e dell’allenamento sportivo. Avendo un passato in tal senso (l’ho detto, che non mi sono fatto mancare nulla!), nel momento in cui leggevo di “periodizzazione”, tanto per fare un esempio, sorridevo, e capivo subito dove si volesse andare a parare. Quindi: se avete un passato nello sport, la lettura e l’applicazione dei concetti espressi nel libro vi sarà molto facilitata, in caso contrario ci impiegherete un po’ di più, ma senza nessun problema.
E andiamo alla conclusione: che fine hanno fatto i famosi “meno sedici” di miopia? Ecco, dopo due anni di allenamento, i “meno sedici” si sono trasformati in “meno dieci” (e “meno sette” dall’altro occhio, da “meno tredici” che erano). Giusto per la cronaca, l’astigmatismo, che era “meno due e cinquanta” è passato a “meno uno e cinquanta”.
Insomma, un miglioramento di “più sei” in due anni.  E' un successo? Tanto? Poco? Lascio giudicare gli altri, quello che mi preme considerare è che ho alleggerito di parecchio gli occhiali, e –finalmente!- posso utilizzare le lenti a contatto usa e getta, che come è noto, sono comodissime ma hanno capacità limitate di correzione.

Ai tempi della nostra gioventù esisteva un bel modo di dire: “No pain, no gain”, che tradotto dall’inglese stava a significare “se non lavori non otterrai risultati”. Ecco, questo vorrei dire: il metodo funziona se vi date da fare. Non otterrete risultati se non vi applicherete; come del resto avviene in tutte le cose della vita.
Dove potrete arrivare, a quali risultati? Questo non potete saperlo in anticipo: ma il metodo, l’ho sperimentato di persona, porta a risultati. Io, per avere questi risultati ho impiegato due anni. Probabilmente voi- applicandovi seriamente- ne impiegherete di meno, ma ogni caso è a sè stante. Fermo restando che assai poche persone, tra quelle miopi, partono da condizioni così sfavorevoli.
E, per concludere, ci tengo a specificare che non ho rapporti di lavoro o collaborazione con David de Angelis, e tutto quello che riportato qui sopra è scritto in maniera genuina e disinteressata. Buona lettura e…buon allenamento!

"Come sono guarito dalla miopia" di David de Angelis, Edizioni Macro.

martedì

Ad occhi chiusi è meglio.


 Fate anche voi un esperimento semplicissimo. Al bar, al ristorante, in una stanza affollata, chiedete al vostro vicino di ascoltare quello che viene detto, o anche solo i rumori ambientali, tenendo gli occhi aperti. Successivamente, chiedetegli di ascoltare, stavolta però tenendo gli occhi chiusi. 
Sorpresa: dirà di avere l’impressione di “sentire meglio” quando gli occhi sono chiusi.
In realtà non si tratta di una sorpresa, dal momento che il canale uditivo e quello visivo portano ambedue il loro carico di informazioni, separatamente, ognuno con una propria via, al cervello; il quale si trova a dover processare allo stesso tempo sia la mole di informazioni visive che uditive. Ma che succede se chiudiamo gli occhi? Succede che vengono a mancare le informazioni visive, e il cervello si dedica completamente ad interpretare i suoni.  Verrebbe voglia di dire, minor quantità uguale maggior qualità.
Come sfruttare questo fatto a nostro vantaggio? Quando facciamo gli  esercizi di riconoscimento dei suoni, gli allenamenti acustici, proviamo a farli tenendo gli occhi chiusi. Con un po’ di pratica vedrete che si riuscirà a sentire meglio, a fare progressi, a facilitare la concentrazione, ad "afferrare" meglio i suoni.
Tenere gli occhi chiusi aiuta a isolare le informazioni e a far funzionare più efficacemente il canale uditivo (cosa che fanno, forzatamente, le persone non vedenti, che sono allenatissime nell’utilizzo delle informazioni uditive). Ovviamente non è pensabile, nella vita di tutti i giorni, stare perennemente ad occhi chiusi per sentire meglio: pertanto questa tecnica è consigliabile soprattutto nelle fasi iniziali della scoperta (o ri-scoperta) dei suoni, e per riprendere dimestichezza del mondo sonoro.    

giovedì

COSA E' LA MUSICA ?


Esercizio del giorno: prendiamo una fotografia e proviamo a dire quali sono le qualità di quell’oggetto che abbiamo in mano, che ne fanno appunto una “fotografia”, e non un disegno, oppure un semplice foglio bianco.
Ecco le possibili risposte:
- il colore (la foto è a colori o in bianco e nero? I colori sono brillanti o smorti?)
- il dettaglio (la foto è ad alta risoluzione oppure no? Magari è un pò sgranata?)
- la nitidezza (la foto è ben nitida oppure è stata scattata “mossa”?)
- la messa a fuoco (o è forse sfuocata?)
- la “composizione” (l’immagine è centrata? E’ dritta, oppure è venuta storta?)
e potremmo continuare parlando di carta fotografica lucente oppure opaca, di immagine “impressa” e non semplicemente disegnata sopra, eccetera… e arrivare infine alla cosa più importante: quello che è raffigurato nella fotografia. Un paesaggio? Un gruppo di persone? Un ritratto?

Adesso pensiamoci un attimo: una persona cieca sarebbe stata capace di descrivere tutte queste caratteristiche in maniera altrettanto accurata? Certamente no. Bene, per quale motivo una persona sorda dovrebbe essere in grado di descrivere accuratamente tutte le qualità di un suono o di una musica? Non facciamoci illusioni: è molto probabile che una persona sorda abbia una percezione molto parziale ed incompleta di quella cosa chiamata “musica”.

E allora: quali sono le caratteristiche di una musica che ne fanno appunto…una musica? Quale è l'equivalente sonoro di un paesaggio?
Qui comincia una discussione complicata perché, così come è difficile, se non impossibile, far capire a un cieco il significato di “verde” oppure “blu”, similmente è difficile far capire a una persona sorda il significato di certe ….sensazioni uditive. Proviamoci
Gli elementi che costituiscono un determinato suono che stiamo ascoltando, sono almeno quattro:

1- “Altezza” (“Pitch”), si riferisce al fatto che quel suono sia più basso (grave), oppure più alto (acuto). I suoni della parte sinistra della tastiera del pianoforte sono “bassi”, quelli a destra sono “alti”, e questo dovrebbe essere abbastanza ovvio. (L’Altezza viene usata come sinonimo di Frequenza, ovvero il numero di oscillazioni dell’aria che vanno a produrre i suoni. In breve: molte oscillazioni= elevata frequenza =suono acuto. Al contrario: poche oscillazioni = bassa frequenza = suono grave e cupo).
2- “Intensità” (“SoundPressure”, a volte impropriamente chiamata “Loudness”). E’ quella che familiarmente chiamiamo il “volume” . Aumentando l‘intensità si aumenta il volume, cioè la sua “forza sonora”. Lo stesso suono, quindi, può essere a volume più basso, oppure a volume più alto.
3- “Durata”. Anche questo è abbastanza ovvio: è il tempo nel il quale il suono è presente, appunto la sua durata. Nella grafia musicale, sul pentagramma, le note sono indicate come crome, semicrome, biscrome eccetera, ciò sta a indicare la loro durata.
- “Timbro” . Definito anche “colore” del suono. E’ un pò complesso da spiegare ma può essere definito come “il suono tipico di ciascun strumento musicale”. Facciamo un esempio: la nota DO, prodotta da una chitarra elettrica e poi da organo in chiesa. E’ la stessa nota in “Altezza”, “Intensità” e “Durata”, eppure è un suono diversissimo. Ecco, questa differenza è data dal “timbro”. Il timbro è anche quello che rende le voci umane diverse l’una dall’altra. Il timbro è quella caratteristica che, probabilmente, salta di più all’occhio, nel senso che viene notata per prima.

Mentre le prime tre caratteristiche sono comodamente definibili, misurabili e trattabili in maniera matematica, il timbro è dato da una quantità enorme di caratteristiche fisiche, ed è più difficile da inquadrare.
La musica, ma anche la voce, è data dal mescolamento di queste quattro caratteristiche differenti.
Questa è la prima cosa importante da capire: quando ascoltate un suono, non state ascoltando “un qualcosa di singolo”, bensì l’unione di “quattro differenti cose che, tutte insieme, sembrano una sola”.
La seconda cosa importante da sapere è che bisogna diventare consapevoli di questo fatto (ovvero, in altre parole, rendersi conto, nella propria mente, di ciascuna di queste quattro caratteristiche)
La persona sorda NON si rende conto di questa quadruplice natura, ed è portata a sentire il suono come una cosa "unica".  Al massimo saprà dire se quel suono è "più forte", oppure "più bello", più grave o più acuto rispetto ad un altro, ma non saprà definire univocamente il suono in tutti i suoi fattori.

Volete fare un esperimento semplicissimo? emettete con la voce un suono. Poi chiedete a una persona normoudente di andare a cercare sulla tastiera del pianoforte la nota (Altezza) relativa al suono della voce.  Che cosa stupefacente: ve la troverà in pochi secondi. Come è possibile? E' possibile perchè nella vostra voce ci sono altezza, intensità, durata, e timbro. E lui è andato, molto semplicemente, a cercare sulla tastiera l'altezza (la nota) relativa. Per una persona sorda questo esperimento è un qualcosa di completamente fuori dal mondo: mai avrebbe sospettato che fosse possibile trovare una nota di "voce" trasponibile su tastiera. Per una persona normoudente, invece, è una cosa assai semplice. E viceversa: schiacciare il tasto del RE sul pianoforte, e riprodurre quella nota ...con la voce. Ma davvero è possibile fare una cosa del genere?

Il senso di tutto questo discorso è che per forza di cosa una persona sorda ha una idea molto imprecisa e frammentaria di quello che è la musica. E’ come vedere una fotografia da lontano e posta dietro un vetro colorato. Se ne avrà quindi una immagine parziale e si crederà che quella immagine sia la realtà. E quello che è peggio, non è detto che dopo tanti anni di “deprivazione sensoriale” sia di nuovo in grado di apprezzarla per intero.

Domanda: la situazione migliora con l’utilizzo dell’impianto cocleare ? Ecco, proprio qui è il punto: la situazione può migliorare, non automaticamente, ma in seguito al lavoro e all’applicazione. Non potete sapere in anticipo se e quanto migliorerete, quello che potete fare è cominciare a lavorare per vedere se ci sono progressi. L’impianto cocleare vi dà la possibilità di percepire un numero di suoni enorme, rispetto a prima, quindi almeno in teoria, avete la possibilità di “capire” tutte le caratteristiche fanno di una musica…. proprio quella musica.
Come sempre, tutto sta a voi. Provateci.

E grazie, mille grazie, al musicologo Roberto B. di Mantova, senza il quale questo post non sarebbe mai stato scritto.

martedì

"Sordità musicale" e impianto cocleare.

La sordità musicale (o "amusia" o "tone deafness") è l'incapacità di "capire" la musica. Per chi è "amusico" (o "tone deaf") è problematico capire se due brani musicali sono identici o diversi; se una nota è più acuta o più grave; se una musica è lenta o veloce.
L'amusia non ha relazione con la sordità classica, dal momento che chi ne è affetto è in grado di "sentire" tutta la musica, ma senza "capire" nulla di essa. Ne soffre il 5% circa della popolazione.

E per l'impianto cocleare.... come la mettiamo? Il discorso è molto interessante: l'udito artificiale come si comporta con la musica?
Esiste un test, una prova, che ci dica se il portatore di impianto cocleare oltre che sentire, riesce anche a "capire" la musica?
Ma certo che esiste (anche se non è ideato per l'impianto cocleare), e lo trovate gratuitamente online al'indirizzo riportato più in basso (chiaramente dovete avere cuffie o casse acustiche collegate al pc)
In questo test, solo in lingua inglese - attenzione, dura circa dieci minuti, armatevi di tempo e pazienza!- vi verrà fatto ascoltare un piccolo brano musicale di circa 5 secondi; e subito dopo un altro brano identico... oppure molto simile? Sarete voi a dirlo! I due brani che avete ascoltato erano lo stesso brano, o vi erano leggerissime differenze? Una nota in più, una nota in meno? Musica più lenta, o più veloce? Le note erano più acute? O più gravi? C'era una nota fuori posto?
Oppure vi hanno fatto ascoltare lo stesso brano identico?
Vi sono 2 test di 30 prove ciascuno. Se avete orecchio , dovreste ottenere un risultato uguale o superiore a 20/30 in ciascuna prova. (15/30 significa essere "andati a caso").
Se non avete mai realmente "ascoltato" musica, come la quasi totalità delle persone sorde, ovviamente non aspettatevi un grande risultato.
ATTENZIONE: Se ottenete un basso risultato NON significa automaticamente che siete "amusici", ma, più probabilmente, che non vi siete mai veramente allenati nell'ascolto della musica.
Diciamo la veritàà, questo è un esercizio davvero difficile: prendetelo come punto di partenza, poi, dopo qualche settimana o mese, ripetete l'esperimento e verificate i progressi.

Ma in fondo, a che serve allenarsi con la musica? E' proprio questo l'importante: serve a prestare attenzione ai suoni, ovvero un processo di importanza FONDAMENTALE che chi è sordo probabilmente non ha mai fatto.
http://www.delosis.com/listening/home.html
PS: è uno straordinario test anche per i normoudenti, per verificare le loro capacità.

giovedì

SIMULAZIONE DI SORDITA' : la voce umana.

(DOVEROSA PREMESSA IN SEGUITO ALLE MOLTE RICHIESTE DI PRECISAZIONE : il video è indicato essenzialmente per le persone normoudenti per far capire la differenza di percezione dei suoni. Deve essere chiaro , inoltre, che l'impianto cocleare "si sente" nel modo indicato nel video, solo se l'ambiente ciircostante è tranquillo; in caso di molti rumori concomitanti la comprensione è molto più difficile: in altre parole, l'impianto cocleare funziona bene quando non c'è confusione, non essendo in grado di 'isolare' la traccia vocale rispetto al sottofondo: ulteriore dimostrazione di come questo udito non sia naturale, bensì artificiale . 
Inoltre, con questo filmato NON si vuol sottintendere che l'apparecchio acustico sia una opzione da scartare: è ancora oggi la soluzione ideale per tutte le sordità lievi, medie e gravi, e può essere una buona soluzione per i bambini sordi nei loro primi anni di vita, almeno per il tempo necessario per una corretta acquisizione della lingua.)

Molte persone si sono domandate, e si domandano, cosa sente una persona sorda (parliamo di sordità profonda) che ascolta un'altra persona mentre parla. Se la persona sorda non ha nessun ausilio all'ascolto, la risposta è la più semplice: non sente nulla.
Ma se invece la persona sorda ha l'apparecchio acustico o l'impianto cocleare, cosa riesce a sentire? Ebbene, questo filmato illustra la differenza.
Inizialmente si può ascoltare "cosa si sente" con l'apparecchio acustico, successivamente accadrà lo stesso, ma stavolta con l'impianto cocleare.
....e finalmente sarà facile capire perchè la persona sorda sorda con l'apparecchio acustico capisce solo se "legge le labbra", così come sarà facile capire che non serve a nulla "alzare la voce" per farsi capire: sono i suoni che materialmente non arrivano al cervello, quindi aumentare il volume non produce alcun risultato apprezzabile. 

Signore e Signori, l'attore Giorgio Albertazzi, una delle più belle voci di teatro, leggerà per voi "L'Infinito", di Giacomo Leopardi.
Buon ascolto!
http://www.youtube.com/watch?v=ydLCxckudKg


martedì

Sordità: quello che (non) si sa.


Per il dottor Fazio, conduttore del programma “Quello che (non) ho”

Egregio dr. Fazio,
le scrivo a proposito delle esibizioni dei “danzatori sordi” del gruppo “Silent Beat” che partecipano alla trasmissione “Quello che (non) ho” in onda su La7.  Niente da eccepire sullo spettacolo; quello che vorrei farle notare è che il messaggio che trapela dall’esibizione dei ragazzi rischia di essere fuorviante e di dare una immagine distorta di quel fenomeno chiamato “sordità” con il quale purtroppo molti di noi –me compreso- si trovano a convivere.
I ragazzi infatti mostrano una serie di cartelli in cui accennano a una “lingua propria dei sordi” (la lingua dei gesti) e ai loro sogni e desideri (“sogno un paese dove la gente ascolta con gli occhi”).
Ebbene, sono circa quaranta anni -e anche più- che le persone sorde, grazie alla logopedia e ai ritrovati della moderna tecnologia (apparecchi acustici /orecchio bionico) sono in grado di parlare a voce (utilizzando quindi la normale lingua “orale”) e, con alcune limitazioni, riuscire ad ascoltare. Come cantava Lucio Dalla in una celebre canzone degli anni ’70   “….i muti parleranno, i sordi già lo fanno….” (L’anno che verrà, 1978)

Ma dove è il problema? Il problema è che a questi risultati (parlare, sentire e capire) la persona sorda arriva dopo tanto allenamento e lavoro, che comincia da bambini e prosegue.…per tutta la vita! Al momento attuale non esiste una "cura" per la sordità, bensì si cerca di non rendere troppo pesanti quelle che sono le sue conseguenze principali ovvero la mancanza di udito e la mancanza di lingua.
E’ perfettamente possibile per una persona sorda arrivare a buoni risultati di integrazione nella società di tutti, in quanto la sordità non è una malattia che va ad influire sulle “capacità mentali”, ma solo sull’apparato uditivo, quindi le capacità cognitive del soggetto sono potenzialmente intatte: si tratta di saperle utilizzare e imparare ad utilizzarle.
Al contrario, la sordità dà origine a “diversità” solo se non si agisce tempestivamente con interventi mirati: e di tutto questo un logopedista, un medico specialista, oppure anche una persona sorda, ne potrà illustrare estesamente ogni aspetto.

Per carità, i ragazzi in trasmissione sono liberi di esprimere i loro sentimenti: ma il fatto che gli spettatori si trovino durante la trasmissione a dover leggere cartelli in cui viene fatto intendere che “la lingua delle persone sorde è il gesto” (anziché la normale lingua orale) e proclamate frasi come “sogno un paese dove la gente ascolta con gli occhi” può venir male interpretato perché si trascura completamente tutta la potenzialità del soggetto nel riuscire ad arrivare ad un buon livello di integrazione nella società.
E in ultima analisi lo spettatore, magari ignaro delle problematiche della sordità, ne potrà ricevere una immagine di “diversità”, e non di “potenzialità”.

Cordiali saluti,
Andrea Pietrini

mercoledì

Corsi e ricorsi storici


Nel lontano 1992 a Firenze, Giuseppe Gitti, uno dei massimi esperti di sordità infantile in Italia, diede alle stampe un volume intitolato provocatoriamente "Sentire Segni". Fu l'inizio di molte polemiche con l'establishment dell'epoca, orientato in prevalenza verso una concezione della sordità 'culturale' e 'antropologica', nella quale la 'lingua dei segni' era tenuta in altissima considerazione sotto ogni aspetto. In questo libro si faceva piazza pulita di tante convenzioni e dicerie sulla sordità (maggiori informazioni qui) e tra le altre cose, veniva riferito che il numero dei bambini sordi in Italia ed Europa fosse assai inferiore a quello - molto elevato- ritenuto all'epoca, essenzialmente per motivi politici e clientelari.  Giuseppe Gitti, sulla base dei propri calcoli e sulla propria lunga esperienza, affermava che i bambini 'realmente sordi', ovvero sordi profondi alla nascita da ambedue le orecchie, fosse intorno a 0.04 per cento. Lo riscrivo: zero-virgola-zero-quattro per cento. Il che equivale a dire: quattro bambini sordi ogni diecimila nati, suppergiù. E tutto questo in un'epoca in cui la parola 'screening uditivo' non si sapeva neanche cosa significasse, e le tecnologie erano ancora ...quelle di vent'anni fa. Come si fa a parlare di 'cultura sorda', si domandava G.Gitti all'epoca, se le persone realmente sorde -intese come sorde nel grado peggiore, che richiede immediato intervento-sono appena 4 o 5 su diecimila, sparpagliate su tutto il territorio, e nella maggioranza dei casi con genitori normoudenti?
Ebbene, è proprio questa lontana affermazione di G.Gitti che mi è tornata in mente quando sono capitate sott'occhio le statistiche pubblicate dalle ASL del territorio di Parma, in Emilia Romagna, relative allo screening universale neonatale, che trascrivo in maniera semplificata qui in basso.

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Screening uditivo neonatale universale: i dati.
(da gennaio 2010 ad aprile 2012)

All’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma il programma di screening uditivo è stato attivato dal 1 gennaio 2010. Fino al 30 aprile 2012 (28 mesi) sono stati sottoposti al test audiologico 5908 bambini e sono stati identificati 19 pazienti da deficit uditivo, di tutte le entità (0,32 % del totale).
 Negli altri punti nascita del territorio tra i 2324 neonati che hanno eseguito il programma di screening sono invece stati identificati 2 bambini con deficit uditivo, considerate tutte le entità. (0.08 % del totale)
Complessivamente quindi dei 8232 bambini sottoposti a test audiologico 21 sono stati presi in cura dall’ambulatorio dedicato alla sordità infantile dell’Ospedale Maggiore (sono quindi risultati sordi di una qualche entità il 0,25 % circa dei bambini nati).
Per 4 di questi pazienti, essendo il deficit uditivo bilaterale di grado profondo (0.05 % circa), è stato avviato il programma di selezione per un impianto cocleare (un dispositivo elettronico che viene impiantato chirurgicamente nell’orecchio e che ha rivoluzionato il trattamento della sordità profonda). Per 12 bambini con deficit uditivo bilaterale di entità medio-grave (0.14 %) sono stati protesizzati e avviati al programma di riabilitazione; mentre i restanti 5 pazienti (0.06 %), affetti da ipoacusia monolaterale, vengono monitorati presso l’ambulatorio della sordità infantile.
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Come si può vedere sono davvero pochi i bambini sordi: questo non significa che debbano venir trascurati, assolutamente, bensì che, se in circa due anni e mezzo sono nati quattro - diconsi quattro- bambini sordi profondi su circa ottomila in totale, che senso ha impostare discorsi di sordità intesa come 'cultura'? Più saggio sarebbe impostare un trattamento adeguato per questi bambini, affinchè la sordità non abbia a causare i tanti problemi di cui tutti noi siamo a conoscenza.
G.Gitti ci aveva visto giusto, tanti anni fa, e oggi con il progresso tecnologico e la facilità di diffusione delle informazioni è davvero possibile ottenere di più e di meglio.
Ma ne abbamo voglia e volontà?

giovedì

"Orecchio bionico": lo faccio, oppure no? (adulti)


Andiamo a vedere le cifre: dopo cinque anni di orecchio bionico, il 90% delle persone si dice soddisfatta e contenta di averlo fatto.
Il 90% è una percentuale enorme. E ciò vi fa capire due cose: la prima è quanto sia alta la percentuale di soddisfazione, la seconda è -presumibilmente- che per molte persone ci vuole un certo tempo per avere risultati.

E voi, avete davvero bisogno di 'farvi l’orecchio bionico'? Lasciamo perdere le percentuali, parliamo del vostro caso personale.
Diciamo la verità, non esiste una necessità assoluta di doverlo fare.
Potete benissimo non farlo, rimanere così come siete, e vivere ugualmente. Esattamente come si può mettere l’apparecchio acustico, oppure non metterlo affatto. Fare l'operazione laser agli occhi per correggere la miopia, oppure continuare a portare gli occhiali.
Non è questione di vita o di morte.
Il problema è piuttosto un altro: nella situazione in cui trovate, dovreste fare l’orecchio bionico? Vi servirebbe davvero?
Facciamo la domanda che non avete il coraggio di fare: vi migliorerebbe l'esistenza
La risposta è molto soggettiva, varia da persona a persona, tuttavia cerchiamo di ragionarci sopra soppesando i casi possibili.
La prima cosa importante da sapere è che, se siete adulti (per i bambini è diverso), la decisione ultima spetta a voi e a nessun altro. In passato, a partire dalla metà degli anni Novanta, ci fu quasi una “caccia alla persona sorda” per convincerla a farsi l’orecchio bionico, un fenomeno che ebbe anche risvolti sgradevoli. Parecchi anni sono passati da allora, e oggi si può ragionare in maniera più pacata.

Se siete sordi, adulti, e portate l’apparecchio acustico, fate questa semplice prova, lasciando stare tracciati e curve audiometriche, potenziali evocati, emissioni, impedenzometrie, analisi cliniche e quant’altro.
Accendete la radio e ascoltate il giornale radio, oppure accendete la TV e guardate il telegiornale.
Possono verificarsi tre casi:
1-     Sento i suoni, e capisco anche il significato delle parole.
2-     Sento, ma non capisco.
3-     Non sento niente, e tantomeno capisco.
Nel primo caso, state a posto così: siete sordi, ma l’apparecchio acustico vi dà un buon recupero: lasciate stare l’orecchio bionico, è probabile che non ne abbiate bisogno, e in ogni caso non vi darebbe poi tanto beneficio, dal momento che la sordità sembra essere un problema correggibile.

Il terzo caso è quello peggiore, ma per certi aspetti è quello più semplice, che dà adito a meno dubbi: è chiaro che l’apparecchio acustico non vi è di nessuna utilità. A queste persone fortemente consiglio l’orecchio bionico, senza stare troppo a pensarci. O meglio, pensateci un attimo: non avete nulla da perdere. La situazione di certo non potrà essere peggiore di questa, dal momento che avete già "toccato il fondo".
Chiaramente, questa è una opzione da seguire se ci tenete ai suoni, se pensate che l'udito sia una cosa importante nella vostra vita. Esistono infatti anche persone- ne ho conosciuta qualcuna- che vanno in giro ripetendo alla nausea che preferiscono rimanere sorde piuttosto che farsi mettere le mani addosso dai medici, e andare sotto i ferri.

Il caso di mezzo -sento, ma non capisco- è quello più delicato, e che potremmo definire “né carne né pesce”: l’orecchio bionico si può fare, ma si può anche non fare. Non ci sento, ma con la sordità ci convivo. Forse fate parte di quelle persone che dicono “grazie, sto bene così”? Non c’è nulla di male in questo: non sentite la necessità di fare l’orecchio bionico, avete tante altre cose a cui pensare, avete una vita ricca piena e interessante, e in fondo “…a me dell’orecchio bionico non me ne frega niente”. In questo caso lasciate perdere. Il 'sentire di più' non è per voi una necessità assoluta.

Ma la maggior parte delle persone del gruppo di mezzo dice:  "sono indeciso se farlo o no".
A volte vorrei, ma poi ho paura. Sono troppo pigro per farlo. Vorrei farlo, ma rimando sempre. Dico di volerlo fare, poi sono contento se c'è un contrattempo che me lo impedisce.

Personalmente, mi sento molto in imbarazzo quando un adulto sordo mi chiede: che devo fare? Lo faccio o no? La mia risposta tende invariabilmente ad essere: ne senti la necessità o no? Sei soddisfatto di come sei adesso, della tua situazione attuale?
Attenzione però a non confondere 'insoddisfazione esistenziale' con 'mancanza di udito'. Molte volte si tendono a confondere le due cose. Il ragionamento è il seguente: io sono molto insoddisfatto della mia esistenza, e la colpa è sicuramente della mia sordità. Il ragionamento può in qualche caso essere vero, ma è il più delle volte errato. Stiamo trasponendo sulla sordità una serie di problemi e motivazioni che in realtà non hanno a che vedere con essa. E il risultato sarà che anche dopo aver fatto l'orecchio bionico, prima o poi i problemi torneranno alla ribalta. Per cui tenete separati i vostri problemi personali da quelli inerenti la sordità: confonderli può dar luogo a fraintendimenti che potranno essere sgradevoli in seguito.

Nella realtà dei fatti, poi, succede quasi sempre che la persona continui a tentennare, e alla fine ci si riconduce la terzo caso: si fa l'orecchio bionico quando la situazione precipita, quando le cose vanno così male da non lasciare alternative: o si rimane nel mondo del silenzio, o ci si gioca l'ultima carta dell'operazione.
E poi, una volta fatta l'operazione...siete pronti per tutto quello che viene dopo? Sapete di dover lavorare sodo per tanto tempo, per avere buoni risultati?

Per questo, alla fine, la risposta più valida da dare è: fai l'orecchio bionico se ne senti davvero la necessità, altrimenti, per il momento, lascia perdere.

lunedì

SIMULAZIONE DI SORDITA' (Videoclip)

ED ora qualcosa di completamente diverso: una simulazione di sordità in video, indirizzata prevalentemente a quelle persone che "ci sentono bene", e che per anni mi hanno domandato, incuriosite, "...ma insomma cosa vuol dire essere sordi? La cecità si riesce ad immaginarla, basta chiudere gli occhi, ma la sordità come è fatta? Non basta tapparsi le orecchie con le mani, perchè i suoni si sentono ugualmente, magari un pò ovattati, ma si sentono". E' vero, la sordità è un handicap difficile da capire perchè viene a mancare quella che io definisco "possibilità di immedesimazione". Allora per questo ho realizzato questo video, per cercare di far capire, finalmente, "cosa significa essere sordi".
Questo video è per voi; sono sette minuti di "musica" (si fa per dire), nel quale viene trasmessa sempre la stessa canzone, ma ogni volta in una condizione diversa. In questo video potrete "udire cosa si prova" nel caso di sordità totale; poi nel caso di sordità con apparecchio acustico, e infine nel caso di sordità "corretta" con impianto cocleare (orecchio bionico), e notare così le grandi- enormi- differenze nei vari casi e nei confronti dell' udito normale.
Ricordatevi di tener acceso l'audio, a volume non troppo alto nè troppo basso, e non stupitevi del fatto che forse non sentirete niente: è la cruda realtà dei fatti. Lasciate scorrere il video fino alla fine e poi vi sarete fatti una sommaria idea.
Signore e signori, ecco a voi i Guns'n'Roses, canteranno per voi:  "Sweet child o' mine".
http://www.youtube.com/watch?v=5V0kqPdA9yU
Buon ascolto!

mercoledì

INTERVISTA "Noi siamo stati i primi, tanti anni fa....".


(Al giorno d’oggi, l’Orecchio Bionico, o impianto cocleare, è una metodica ritenuta ormai collaudata e affidabile, ma non è sempre stato così. Negli anni ’80 ci furono circa venticinque pazienti italiani che per primi si sottoposero a questa ‘novità’, senza sapere assolutamente niente di come sarebbe andata a finire. Questi magnifici pionieri andrebbero, dopo tanto tempo, almeno ricordati. A loro andrebbe indirizzato un sommesso ringraziamento: se oggi le metodiche si sono evolute e perfezionate, lo dobbiamo anche a loro.)


Intervista a PAOLO DE LUCA (maggio 2012)


Domanda: “Buongiorno Paolo, ci daresti qualche informazione su di te, per cominciare?”  
Risposta: “Buongiorno a tutti voi! mi chiamo Paolo De Luca, vivo a Torino, sono nato nel 1953 e adesso, nel 2012, ho 59 anni. Sono diventato completamente sordo all’inizio degli anni ’80, quando avevo trent’anni, e nel 1987, dopo molte disavventure, sono stato tra i primi italiani a “fare l’orecchio bionico”. Lavoro al Comune di Torino e fra pochi mesi, finalmente, andrò in pensione.

D: Ci puoi raccontare brevemente la tua storia? 
R: Certamente, anche se è una storia lunga e complessa. Fin da bambino soffrivo di otiti continue, crescendo si presentavano in modo più sporadico. Ricordo che già a diciotto anni, durante la visita di leva, il medico militare mi mise in guardia perché avevo forti otiti. Poi, finito il servizio militare, il fatto di essere andato a lavorare molto presto in fabbrica, in mezzo a rumori e frastuoni terribili, ha aggravato la situazione. Sono stato sottoposto a diversi interventi di timpanoplastica, intorno a venticinque-trenta anni, ma senza risolvere nulla.

D E quindi cosa è successo?
R Ed è successo che da trasmissiva la sordità ha interessato sempre più l’orecchio interno e dal momento che (ma questo non mi è stato mai spiegato bene e quindi è una mia ipotesi), sono stato sottoposto a una cura a base di penicillina ad altissime dosi per curare una infezione che non aveva relazione con le otiti, e la conseguenza è stata la totale perdita di udito ad ambedue le orecchie, nel 1984, quando avevo superato di poco i trent’anni.

D Possiamo immaginare la tua condizione….
R Ma oltre alla perdita di udito ho preso contatto con la sgradevole realtà di certi ambienti…. Solo per dirne una, quando la mia sordità totale divenne palese, il luminare che mi aveva in cura andò subito a cancellare il suo nome dalle cartelle cliniche, come a voler dire che lui non c’entrava niente con quello che era successo!

D E siamo arrivati a metà degli anni 80, hai trentadue anni, e sei completamente sordo, da non sentire più nemmeno le cannonate, gli apparecchi acustici non servono a nulla…
R Esatto. E nel marzo del 1985 mi capita sottomano una lettera di risposta del Professor Gregorio Babighian a un articolo de 'La Stampa' che parlava del “Primo orecchio artificiale” sperimentato con successo negli USA. Babighian ricorda nella lettera che già da 2 anni il gruppo ICI -Impianti Cocleari Italia- utilizza il sistema monopolare di House con successo e che lui è stato uno dei primi a fare questo intervento in Italia, all’ospedale Santa Chiara di Trento.

D E quindi?
R E quindi in questo articolo si dice che si può provare a recuperare l’udito con una tecnica sperimentale, appunto l’orecchio bionico, bisogna fare un’operazione chirurgica, ti devono aprire la testa, impiantare fili, elettrodi…..io ero all’ultima spiaggia. Che avevo da perdere? E così ho contattato il prof. Babighian, dopo pochi giorni. E devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso, non ho trovato nessuna improvvisazione, niente promesse mirabolanti, erano tutte persone molto serie e con i piedi per terra. Certo i protocolli non erano sofisticati come quelli di oggi, comunque c’era tanta serietà e buona volontà. A Trento c’era uno staff formidabile, oltre a Babighian, ricordo che c’era anche il giovane 'Millo' Beltrame, che poi sarebbe diventato il primario in quell’ospedale.

D Tutto bene allora…
R Mica tanto, perché sul finire del 1985 mi scontro con la sanità regionale che dovrebbe dare autorizzazione all’operazione da effettuarsi a Trento, nonché farsi carico delle spese, e cosa succede? Succede che il tipo che dovrebbe dare l’autorizzazione, che poi sarebbe un primario ospedaliero, si impunta, e rifiuta di dare il nullaosta, dicendo che è una spesa enorme, insensata, che l’orecchio bionico non serve a niente, eccetera. Ma lo sapevano tutti, che il vero motivo era l’invidia e la rivalità tra medici, la gelosia dei risultati professionali…lasciamo perdere che è meglio! Alla fine la Responsabile dell’Ufficio Protesi della mia ASL è andata dal primario in questione, gli ha spiegato per filo e per segno la faccenda, e alla fine lui si è convinto a rilasciare l’autorizzazione. Si trattava comunque di un finanziamento straordinario in quanto l’I.C. non era inserito nel Nomenclatore, fatto sta che l’intervento era previsto per il 1985, ed è andato a finire nel 1987 a causa della mancanza della firma e dei timbri burocratici!

D Era molto costoso all’epoca l’orecchio bionico?
R Guarda, ricordo che arrivò l’avviso dalla ASL di andare a ritirare il pacco inviato dalla 3M di Segrate (Milano) nel marzo 1987, era il modello 3M/House, monoelettrodo, e costava esattamente 11 milioni di lire di allora.

D Andiamo avanti.
R E così nel giugno 1987 mi ricovero all’ospedale di Trento per l’operazione, ma qui subito abbiamo uno stop. Il prof Babighian infatti trova che nell’orecchio destro, quello da operare, vi è infiammazione in atto, e rinuncia per il momento all’impianto. Passano pochi mesi e al secondo tentativo stavolta le cose vanno in porto. Me lo ricordo ancora: 1 settembre 1987, ospedale Santa Chiara di Trento.

D E arriviamo al momento dell’accensione…
R Il momento dell’accensione fu una cosa imbarazzante: io ero relativamente tranquillo, tutti gli altri davanti a me, medici, specialisti, infermieri erano più preoccupati di me. E quando sembrò che l’impianto cocleare non funzionasse…tragedia, fallimento! Poi qualcuno andò di là a prendere la scatola dei pezzi di ricambio e provò a sostituire i cavetti…Evviva! Riuscivo a sentire qualcosa! Si trattava, pare, di un cavo difettoso.

D E per quanto riguarda la riabilitazione?
R Bella domanda, allora le cose non erano così avanzate ed organizzate come adesso…ricordo che andavo avanti e indietro tra Torino e Trento, fino a quando il prof Babighian non si trasferì a Venezia portandosi dietro una parte dello staff. Da allora ho fatto in modo di rimanere sempre a Torino.

D Ecco, questo penso che sia una domanda interessante: come ci si sentiva all’epoca, con l’impianto cocleare monoelettrodo?
R Mettiamo subito in chiaro che per me, sordo totale, il tornare a sentire i suoni era già un gran traguardo e mi sentivo contento così. Comunque utilizzavo la lettura labiale, niente telefono né televisione né cinema, insomma, l’impianto cocleare mi serviva per sentire i suoni, ma per capire quello che diceva la gente mi dovevo aiutare con la lettura labiale.

D Bene, e dal 1987 ad oggi?
R. Ecco, con il passare degli anni l’impianto cocleare cominciò a perdere potenza, e circa dieci anni dopo tornai a non sentire più niente, quindi, nel 1997, chiamai il prof Babighian e decidemmo di fare un secondo impianto cocleare. Stavolta all’altro orecchio, quello sinistro –infatti ci tengo a specificare che il vecchio impianto 3M/House non è mai stato tolto, lo porto sempre dentro di me, anche se non lo utilizzo più- e facemmo un impianto di tipo Clarion, multielettrodo, prodotto da Advanced Bionics.

D E stavolta andò tutto liscio, spero.
R Si, l’intervento decisi di farlo a Torino, per evitarmi continui avanti e indietro, Stavolta non ci furono problemi burocratici, però ti racconto una cosa: quel primario che mi ostacolò così tanto facendomi perdere un sacco di tempo per la prima operazione qualche anno dopo stava sempre lì, e andava in giro a dire che l’impianto cocleare era una vera meraviglia e “grazie a lui” si era diffuso anche in Piemonte…non sai cosa gli avrei fatto! ,Comunque ad operare non era lui ma il Prof. Paolo Solero che aveva costituito il Centro Impianti Cocleari alle Molinette, ed era attivo dal 1991

D E adesso, dopo tanti anni?
R Senza autocompiacimento, penso che non mi sono perso e con l’aiuto di mia moglie, con la forza che mi dava la mia prima figlia allora decenne, ho combattuto per qualcosa che non mi sembrava straordinaria, coglievo il valore non solo individuale ma generale, non so come abbia trovato la forza di andare avanti, diciamo che esperienze di vita, idee e valori hanno reso possibile non fermarsi .Con il senno di poi si capisce quanto sia importante la vicinanza di altre persone, di un’associazione , e infatti nel 1998 insieme ad altre/i sordi si è costituita l'APIC -Associazione Portatori Impianto Cocleare, di cui ora sono il presidente.
Quando assisto all’attivazione della parte esterna di persone che incontro nell’ambulatorio del Centro con il quale APIC collabora, mi commuovo e ripenso alla mia prima volta, non era così facilitato, il concetto di mappa era diverso, e la collaborazione attiva del paziente era diversa, l’applicazione informatica ha cambiato e reso possibile qualcosa di impensabile. Ma evitando di parlare sempre di me, vorrei ringraziare quelle persone che oggi si danno da fare, non solo mettono in guardia da ciarlatani e persone che a volte illudono , non seguono come si deve i pazienti , con il risultato di portare danni e non garantire la necessaria e dovuta assistenza .
Poi, quando vedo persone che conversano al cellulare , che comprendono e rispondono a tono , ecco ,magari sono un po’ geloso , ma sono felicissimo …..e questo è quanto!

(Grazie a Paolo de Luca, che dopo molti anni, ha deciso di raccontare la sua esperienza dei tempi pionieristici, rivangando indietro nel tempo, con un sorriso e tanta disponibilità)













domenica

VENT'ANNI DOPO.




Aprile 1992-Aprile 2012 : sono passati venti anni esatti. E già allora, nel 1992, c'era già chi diceva: attenzione, l'impianto cocleare va fatto con cautela...



TUTTOSCIENZE (APRILE 1992)
“Gli impianti cocleari: soluzione delicata che non va bene per tutti”




CON una vena di sensazionalismo, stampa e televisione si sono recentemente occupate dell' impianto cocleare: un dispositivo che viene applicato chirurgicamente nell' orecchio interno del sordo totale per riabilitarlo. Secondo quei servizi giornalistici si tratterebbe di una novità quasi sconosciuta nel nostro Paese e che verrebbe da oggi, costi a parte, messa a disposizione dei non udenti. Questa informazione è inesatta. Già da dieci anni esiste una rigorosa e documentata esperienza italiana sull' impianto cocleare. Nel 1983, con il primo intervento per impianto cocleare eseguito dal professor Babighian a Trento, e poche settimane dopo con un secondo paziente operato dal professor Zini, venivano acquisite esperienze dirette in materia. Fino ad allora in Europa solo il francese Chourad e il viennese Burian avevano elaborato e applicato un loro tipo di impianto cocleare. In Italia inizialmente si era adottato un dispositivo monopolare (Impianto House/3M), allora il più diffuso negli Stati Uniti, che consentiva al paziente operato un buon reinserimento acustico nella vita sociale e lavorativa, permettendogli di udire suoni e rumori ambientali e anche, con l' ausilio della lettura labiale, parole e frasi. Dato non trascurabile, l' impianto House aveva superato i rigidi criteri di approvazione dell' Agenzia di controllo americana, la Food and Drug Administration. A Trento furono trattati con questo sistema nove soggetti adulti sordi totali postlinguali, frutto di una selezione particolarmente impegnativa tra una cinquantina di potenziali candidati. Dal 1983 è operante la fondazione del Gruppo Impianti Cocleari Italia, un gruppo pilota di specialisti, coinvestigatori della House Ear Institute di Los Angeles, che eseguì con successo negli Anni Ottanta circa venticinque interventi, acquistando una preziosa esperienza sul complesso procedimento riabilitativo. All' inizio degli Anni 90, la situazione italiana è ulteriormente progredita ponendosi su di un piano di parità con quanto si fa in altri Paesi sia europei sia extraeuropei. Il gruppo di equipes che lavorano sull' impianto cocleare si è allargato. Attualmente ai 25 pazienti con impianto 3M si sono così aggiunti altri 27 pazienti: 17 operati a Venezia, 7 a Bergamo, 2 a Varese e uno a Parma. E' prevista fra breve una fase di approccio, molto delicata, al bambino sordo. L' impianto di gran lunga più utilizzato è il Nucleus a 22 elettrodi, particolarmente sofisticato e affidabile, già approvato dalla Food and Drug Administration, ma sono stati applicati anche l' impianto a due canali Med El, l' impianto monocanale Mxm e l' impianto Ineraid. L ' elemento oggi forse di maggiore interesse è rappresentato dal fatto che l' impianto multipolare, come appunto il Nucleus, consente la comprensione della parola e di frasi non predeterminate senza l' ausilio della lettura labiale. Resta un problema l' alto costo dell ' impianto, che viene normalmente a gravare sulla struttura pubblica. Una precisa conoscenza dell' argomento da parte dei potenziali utilizzatori e dei loro familiari consente un più consapevole approccio all' impianto cocleare, contenendo al massimo le attese eccessive e non realistiche ed evitando anche il possibile conseguente discredito di un metodo obiettivamente e provatamente efficace. Per questo motivo l' impianto cocleare è una materia delicata che richiede una elevata tensione etica nel medico che lo prescrive e lo applica. E si pensi poi a quando, agli oltre duecento bambini sinora operati negli altri Paesi Europei, si aggiungeranno i bambini italiani.








mercoledì

Cosa c'è alla base di un impianto cocleare? Storia di un Premio Nobel.

Georg von Bèkèsy (1899-1972) era un ingegnere ungherese impiegato in una compagnia telefonica, a Budapest, e negli Anni ‘20 gli venne chiesto cosa si poteva fare per migliorare l’audio dei primi telefoni e rendere il suono più possibile fedele e gradevole all’orecchio umano. Cominciò così una serie di esperimenti pratici che, partendo dalla simulazione di funzionamento dell’orecchio, arrivarono alla scoperta di alcuni fondamentali meccanismi dell’udito che sono alla base, oggi, del funzionamento dell’impianto cocleare.
Von Bèkèsy costruì un tubo metallico a spirale pieno d’acqua (a simulare la coclea umana e la sua linfa interna), con una membrana elastica tesa in mezzo (per simulare la membrana basilare sotto la quale si trovano le cellule ciliate che raccolgono i suoni), e cominciò a studiare il meccanismo del moto dell’acqua dentro il tubo. E cosa vide? Si accorse che il moto dell’acqua era “a onde”, nel senso che a seconda della forza della spinta iniziale il fronte dell’onda percorreva un tratto più o meno lungo all’interno del tubo, ingrossandosi fino a un massimo di ampiezza e poi riducendosi. E così facendo stirava in maniera maggiore o minore la membrana elastica.
Von Bèkèsy successivamente passò alle coclee reali, ottenute da cadaveri o animali, per fare un confronto con gli esperimenti precedenti. E in particolare, utilizzando il microscopio e una soluzione di polvere di alluminio per “marcare” l’acqua, vide che si formavano lo stesso tipo di onde precedenti quando lo stimolo era causato da un suono prodotto dall’esterno. Ma la cosa più interessante fu il constatare che quando lo stimolo sonoro era acuto, si formava un’onda che si esauriva subito: quindi la membrana basilare della coclea veniva “stirata” solo nella parte iniziale. Quando il suono era grave, al contrario, l’onda proseguiva a lungo, percorreva i giri della coclea e andava a esaurirsi verso l’estremità più lontana, andando quindi a stirare la membrana in un punto lontano. Tanto più grave il suono, tanto più lunga l’onda e quindi tanto più lontano lo stiramento della mambrana. E’ curioso il fatto che questo esperimento venne effettuato sulla coclee di orecchie di elefante, che sono di grandi dimensioni e quindi più agevoli da maneggiare.
Questo è meccanismo venne definito “delle Onde Viaggianti”, e Von Bèkèsy lo mise a punto anche grazie agli studi. puramente teorici, di uno dei più grandi scienziati di ogni tempo, che aveva immaginato, quasi cento anni prima, un meccanismo del genere: il tedesco Hermann Von Helmholtz.

Orbene, questo meccanismo delle Onde Viaggianti è, in parole povere, la base della teoria della Tonotopicità della coclea. Cosa è la “teoria Tonotopica”, in due parole? In sintesi, l’interno della coclea non è fisiologicamente tutto uguale. Ci sono le cellule ciliate disposte sul tratto iniziale, che “raccolgono” i suoni acuti, mentre quelle posizionate più in fondo “raccolgono” i suoni gravi.
Questo fatto è importante perché l’impianto cocleare moderno funziona seguendo questo principio. Gli elettrodi posizionati all’ingresso della coclea fanno passare solo le frequenze acute; gli elettrodi spinti fino in fondo, nella profondità della coclea, sono deputati invece a trasmettere le frequenze gravi. Tutti gli elettrodi messi insieme, trasmettono l’intero messaggio sonoro, ma lo fanno passare non in blocco, bensì suddiviso a pezzetti, ciascuno in una porzione differente della coclea. Insomma: è come se gli elettrodi tentassero di sostituire le cellule ciliate, che nei casi di sordità sono ridotte o assenti, sostituendosi a loro, e trasmettendo le frequenze al nervo acustico. E lo fanno cercando di seguire un principio tono-topico: “a ogni zona della coclea, bisogna trasmettere una particolare frequenza”.
Esattamente come forse accade nella realtà.
Perché “forse”? Perché, e qui è il bello della faccenda, la Tonotopicità della coclea è una teoria, ancora non scientificamente dimostrata al 100%. La teoria della Tonotopicità è infatti una delle teorie proposte che cerca di spiegare i fenomeni sottili dell’udito, e l’impianto cocleare si basa appunto su di essa: una teoria ancora non dimostrata.
Tuttavia, il fatto che l’impianto cocleare funzioni sta a dimostrare che in questa teoria qualcosa di vero c’è, ma, a distanza di tanti anni dagli esperimenti di Von Bèkèsy, si è scoperto che il meccanismo della Tonotipicità non è il solo ad intervenire, dal momento che l’orecchio umano è in grado di sentire migliaia di frequenze differenti, il che equivarrebbe a dire che ogni millesimo di millimetro di coclea è deputato a raccogliere una frequenza diversa, la qual cosa, considerato la ridotta dimensione della coclea stessa, è impossibile. Per cui è molto probabile che la Tonotopicità della coclea sia una parte della verità, ma accanto ad essa vi è un altro meccanismo ancor più sottile.

Nel 1961 Von Bèkèsy vinse il Premio Nobel nella Medicina per i suoi studi sulle Onde Viaggianti e per aver fatto grandi passi avanti nella comprensione della fisiologia dell’udito:
ironia della sorte, proprio in quell’anno, negli Stati Uniti, veniva messo a punto la prima rudimentale "neuroprotesi uditiva", ovvero, l’impianto cocleare.

giovedì

Giochiamo a 'Battaglia Navale'? (misurare i progressi con l'impianto cocleare)

Esiste un metodo semplice, efficace e magari anche divertente per misurare i progressi fatti con l'impianto cocleare, nel corso del tempo?

Ma certo che esiste: è il gioco della 'Battaglia Navale' !
Si gioca in due: voi e l'aiutante, ma non siete l'un contro l'altro, bensì siete voi due contro le navi avversarie: insomma, una sorta di "gioco di squadra". In questo gioco, per l'appunto insieme al vostro aiutante (normoudente) dovrete sparare cannonate contro la flotta nemica e possibilmente affondarla: il vostro aiutante conosce la posizione delle navi nemiche, che sono segnate su un foglio - voi invece ne siete all'oscuro- e vi dà le "coordinate di tiro", e voi dovete essere capaci di sparare la cannonata con la giusta traiettoria. Saprete fare centro?
Attenzione!!! avete solo DICIANNOVE colpi a disposizione, e dovete affondare esattamente DICIANNOVE navi!

(nella realtà: l'aiutante, che ha un udito normale, stando alle vostre spalle pronuncia con voce chiara e limpida diciannove fonemi ben precisi, uno per volta; e voi dovete essere in grado di ripeterli esattamente. In tal caso l'aiutante segnerà sul foglio "colpito!"; in caso contrario sarà "acqua!", e quello avrete risposto -cioè quello che avete creduto di sentire- avrà grande importanza alla fine del gioco. Anche gli errori in questo gioco hanno la loro importanza)

Cosa si riesce a fare con questo gioco?
1- Si mette in chiaro cosa si sente.
2- Si mette in chiaro cosa si capisce (cosa importantissima....)
3- Si traggono utili indicazioni per le 'mappe cocleari' successive (cosa c'è da cambiare e cosa da mantenere, quale elettrodo variare)
4- Si osservano i cambiamenti nel corso del tempo (stiamo migliorando o no?)
5- Ci si diverte, e lo si può prendere anche come un gioco a punti.

Ovviamente, il vero nome del gioco non è "La Battaglia Navale", bensì, più seriamente, "Test della Matrice di confusione consonantica", e bisogna dire che raramente un Test, serio e rigoroso, è capace di trasformarsi in un gioco appassionante. La "Matrice" è uno dei test classici della riabilitazione del linguaggio, e praticamente tutti gli operatori di Logopedia la conoscono e la utilizzano.

Ma abbiamo fatto anche troppe chiacchiere: mettiamoci all'opera! Flotta nemica in avvicinamento!

ATTENZIONE!!!
- il Test è idoneo per ragazzi e adulti che sappiano udire e rispondere; NON è indicato per bambini troppo piccoli;
- l'aiutante DEVE avere un udito perfetto e una voce chiara e pulita, assolutamente senza storpiature o inflessioni dialettali;
- si dà per scontato che la persona sottoposta al test sia almeno in grado di sentire e distinguere la vocale A, che è alla base dei fonemi utilizzati.


SVOLGIMENTO
Il vostro aiutante è posizionato alle vostre spalle e ha davanti a sé una matita e il foglio del Test – che vedete qui riprodotto (stampatelo se volete).
Osserviamo il foglio: sulle colonne verticali (sinistra o destra, è indifferente) sono riportati i fonemi da pronunciare, mentre sulla riga orizzontale in basso sono riportate le risposte ottenute. La linea diagonale rappresenta le navi nemiche in fila.





Facciamo un esempio (figura successiva): l'aiutante, sempre alle vostre spalle, vi dirà :"ARA!" , voi rispondete "AGNA!".....errore grave, acqua! E l'aiutante segnerà con un circoletto dove è andato a finire il colpo: l'incrocio tra ARA (pronunciato) e AGNA (ascoltato) (Attenzione! L'aiutante NON deve dire se la risposta è azzeccata o meno: prima si finisce il test per intero, poi si mostra il foglio al "cannoniere". Non bisogna dare indizi di nessun tipo!)
Ma supponiamo invece che l'aiutante dica "ARA!", e voi sentiate correttamente e rispondiate anche voi "ARA!". in tal caso, complimenti! Bersaglio colpito! Incrociando ARA orizzontale con ARA verticale si va a finire sulla riga diagonale: risposta esatta, nave affondata! (....e ricordate che l'aiutante NON deve dire se è colpito o mancato! Chi subisce il test deve andare alla cieca, non deve sapere il risultato, se non alla fine) (vedi figura 3)

Andando avanti con il gioco si devono pronunciare tutti e e diciannove i fonemi, e segnare le risposte, e alla fine avremo un foglio di questo tipo (vedi figura 4): in questo caso avremo avuto OTTO risposte giuste e UNDICI sbagliate. Può anche darsi che alcune risposte siano uguali, nel senso che il 'cannoniere' ha l'impressione di udire sempre lo stesso fonema (ad esempio l'aiutante dice ASA, AZA, ALA, ACA, e la risposta è sempre ACA in tutti i casi).

(IMPORTANTE: 1-segnatevi la data sul foglio, alla fine del test; sarà utile per fare confronti con i test successivi, e vedere i progressi in funzione dle tempo. 2-per evitare che il 'cannoniere' impari a memoria le posizioni dei fonemi, basterà che l'aiutante ogni volta cominci il test con una "nave" a caso, quindi non rispettando l'ordine del foglio 1-AGA, 2-ACA, 3-AGLIA ecc, bensì andando casualmente).

Perchè questo Test è importante? Per il semplice motivo che i fonemi NON SONO DISPOSTI A CASO. Più il colpo è mancato (cioè : lontano dalla diagonale), più l'errore è grave. Significa che per quella lettera o fonema siamo ancora lontani dal "sentire bene". Per esempio, nell'ultima figura, l'aiutante ha detto AFA, e la risposta è stata ACIA : grosso errore, il colpo è finito lontanissimo. Al contrario, più il colpo è caduto vicino alla diagonale, più siete prossimi al sentirci bene (esempio dire AGA e rispondere ACA)
Ma non basta... Perchè questo Test è importante? Perchè se gli errori sono sempre gli stessi, e non c'è miglioramento nel tempo, significa che bisogna correggere un qualche elettrodo; e il "mappista" in gamba capirà cosa fare. Perchè questo Test è importante? Perchè, confrontando i giochi fatti nelle settimane o mesi precedenti (ognuno con la sua data scritta in un angolo), è possibile vedere come evolve la situazione, se ci sono progressi o no, ed eventualmente dove ci sono progressi e dove ritardi. Perchè questo Test è importante? Perchè provando e riprovando, voi, cannonieri, vi abituate a stare attenti alle minime differenze di suono: riuscire a distinguere tra ASA e AZA è roba da veri campioni!
Cominciate a giocare! non vi spaventate se i primi tentativi saranno pessimi. Non spaventatevi se fate errori incredibili: siate anzi contenti, perchè finalmente sapete quali sono i vostri punti deboli, e potete lavorare per migliorare!



Barra a dritta, Timoniere! E tu, Cannoniere, ai posti di combattimento!
OBIETTIVO FINALE: DICIANNOVE SU DICIANNOVE ! FORZA!!!


























































martedì

Riflessioni sull'impianto cocleare: un articolo sul periodico 'Effeta'

L'istituto Gualandi di Bologna, ("Istituto dei sordomuti don Giuseppe Gualandi", esistente dal lontano 1849) attraverso la sua Fondazione, mi ha chiesto di scrivere un articolo il più possibile pacato e riflessivo su cosa è realmente l'orecchio bionico, se funziona o no, se serve o meno, e di quale utilità sia per una persona sorda. Ho scritto un articolo di una pagina e mezzo, che per motivi editoriali è stato leggermente adattato e accorciato.
L'articolo è stato pubblicato sull'edizione online della rivista 'Effeta', il periodico dell'Istituto Gualandi.

Per evitare sgradevoli copiaincolla, vi rimando direttamente alla pagina :
http://effeta.fondazionegualandi.it/
oppure:
http://effeta.fondazionegualandi.it/riflessioni-sull-impianto-cocleare
Buona lettura!

Perchè l'udito "naturale" è migliore di quello "artificiale"?

Lungi da me l’idea di voler criticare lo strumento che tenta di restituire l’udito a coloro che lo hanno perso: in questo post vuol solo cercare di chiarire dove sono le differenze maggiori tra chi ci sente bene (le persone normoudenti) e chi no (le persone sorde), e soprattutto il perché.
Quando si vuole riportare su un piano più razionale, con i piedi per terra, la meraviglia dell’orecchio bionico, si dice che in ultima analisi “…non è uguale al sentirci bene, come con l’udito naturale”. Questo è vero, l’esperienza ce lo mostra. Il più grande “Campione di impianto cocleare” se la batte quasi alla pari con i normoudenti in situazioni di quiete, suscitando l’entusiasmo del pubblico…. salvo mostrare la corda quando si è in mezzo al casino più generale: In questa situazione, il normoudente è in difficoltà, ma se la cava; il “Campione di impianto cocleare”, tranne rarissime eccezioni, crolla miserabilmente, non riuscendo più a capire nulla.

Ma come mai l’orecchio “bionico” non è allo stesso livello di quello “naturale”? Che diamine, potrebbe esistere un udito artificiale che riproduce perfettamente quello naturale, forse si tratta di un fatto riguardante tecnologia non ancora sufficientemente avanzata? O forse la differenza tra artificiale e naturale è da ricercarsi nella pura dinamica di trasmissione dei suoni?
La risposta è: tutte e due.
L’udito artificiale è meno valido di quello naturale sia perché la tecnologia non è ancora avanzata quanto si vorrebbe, sia perché l’impianto cocleare scavalca alcuni fenomeni di acustica applicata che sono estremamente importanti nella fisiologia dell’udito.
Cominciamo da quest’ultimo fattore: l’acustica. Tutti noi abbiamo i padiglioni auricolari, ma non solo gli esseri umani, anche moltissime altre specie animali li posseggono. L’esperienza ci mostra che gli animali con le orecchie più grandi sono quelli con l’udito più fino, e addirittura molte specie hanno le orecchie “orientabili”, che possono venir ruotate in varie direzioni, per poter captare meglio i suoni. Ed è appunto questa l’importanza del padiglione auricolare: quella di raccogliere i suoni in maniera più efficace per convogliarli nel condotto uditivo. E qui cosa succede? Succede che nel condotto uditivo avviene un fenomeno acustico particolare in quanto esso funge da cassa di risonanza per le onde sonore che lo attraversano. La cosa più importante -e poco nota- è che durante il tragitto verso la membrana timpanica alcune frequenze vengono esaltate e altre diminuite. Quali? Qui la fisica ci viene in aiuto, mediante l’applicazione di formule matematiche possiamo vedere che vengono aumentate, rispetto alla realtà, le frequenze da 1000 a 3000 Hertz, che coincidono con una certa approssimazione alle frequenze della voce umana. Per contro vengono progressivamente smorzate (riducendole ad un valore inferiore a quello reale) tutte le frequenze superiori a 10000 Hertz. Ebbene, tutte queste funzioni acustiche vengono “bypassate”, ovvero scavalcate, dall’impianto cocleare: non c’è nessuna raccolta dei suoni da parte del padiglione auricolare, né tantomeno una esaltazione delle frequenze della voce umana rispetto alle altre. Ecco che cominciamo a capire come mai le persone normoudenti sentono così bene le voci umani e riescono a separarle dai suoni ambientali: non è solamente un fatto di “cervello che riesce a separare i suoni”, ma è anche il fatto che fin dall’origine, prima ancora di arrivare al timpano, i suoni vengono “presentati” nel migliore dei modi possibili.
Se vogliamo fare un paragone grezzo ma efficace, immaginiamo di avere una chitarra tradizionale (non elettrica), con le sei o dodici corde. Se proviamo a strimpellare, la cassa acustica di legno provvederà a “creare” il tipico suono di chitarra acustica. Adesso immaginiamo di togliere la cassa e di lasciare solo le corde, perfettamente tese (in teoria basterebbe anche coprire perfettamente solo il “buco centrale”, con del nastro adesivo!) : cosa succede? Succede che il suono è molto più tenue, quasi impalpabile, meno netto, meno definito, meno gradevole, meno….tutto. Ecco, questo è il paragone tra udito naturale, che rispetta tutti i passaggi dei suoni, e l’udito artificiale. Ovviamente l’impianto cocleare tenta di risolvere questo problema, mediante l’applicazioni di algoritmi software, filtri che cercano di esaltare le frequenze della voce umana, ma ci si può rendere conto che l’emulazione del vero non è mai uguale al vero. E qui passiamo al secondo problema: la tecnologia “in progress”, ancora lontana dalla perfezione.
Il punto dove la tecnologia differisce maggiormente dalla realtà è nella funzionalità degli elettrodi. La coclea è strutturata in modo talmente sofisticato –teoria della “tonotipicità della coclea”, che richiederebbe un post a parte!- che ogni zona della curva è deputata a raccogliere una certa determinata frequenza. La zona iniziale della coclea per esempio, “raccoglie” le frequenze acute, quella più in profondità riceve invece le frequenze gravi. Gli elettrodi dell’impianto cocleare cosa fanno? In estrema sintesi cercano di ricalcare questo fenomeno: il suono esterno viene filtrato e modificato, poi diviso in “pacchetti” di frequenze, dalla più acuta a quella più grave, e i vari “pacchetti” vengono spediti ai vari elettrodi posizionati lungo la coclea. L’elettrodo più esterno trasmetterà le frequenze più acute, quello successivo le frequenze “acute ma non troppo”, per arrivare all’ultimo elettrodo, quello spinto più a fondo al’interno della coclea, che provvederà alle frequenze più gravi…. cercando così, nella globalità del processo, di emulare il meccanismo naturale dell’udito. Ma è ovvio che 15-20 elettrodi non possono replicare fedelmente l’azione di migliaia di cellule ciliate, che, naturalmente, provvedono alla trasmissione del suono con grande finezza e precisione. La tecnologia cerca di migliorare questo processo con vari "trucchi", tra i quali l’impiego degli “elettrodi virtuali” (“current steering”), una metodica non ancora pienamente applicata, che cerca di moltiplicare il numero degli elettrodi tentando così di “distribuire” meglio i suoni. Oppure aumentando le "pulsazioni" sonore degli elettrodi.
Oltre a questo ci sarebbero moltissime altre cose da dire, per esempio la trasmissione del suono attraverso la catena degli ossicini, martello-incudine-staffa, meccanismo che anche questo viene “saltato” dall’impianto cocleare, ma qui veramente il dicorso diverrebbe troppo lungo e pesante.

E’ veramente incredibile la sofisticazione di tutto l’insieme tecnologico dell’orecchio bionico, stupefacente il numero di problemi e le soluzioni alle quali i tecnici e gli ingegneri hanno cercato di porre mano: sembra davvero di aver a che fare con una meraviglia della tecnologia…. e quale è la nostra sorpresa nell’accorgerci che la Natura si trova nondimeno mille chilometri ancor più avanti.