lunedì

Notte prima dell'operazione (1-2 marzo 2010)

Mi sveglio alle 3.30 della notte.
Dire notte è eccessivo, perchè nella stanza dell'ospedale non è mai buio, c'è sempre una fioca luce accesa, a filo di parete, che riverbera per tutta la stanza. Le serrande sono sollevate, e al di là dei vetri si vedono gli ultimi palazzi prima della campagna, con le luci dei lampioni a illuminare il tutto. Nemmeno il cielo è buio, a causa delle nuvole che fanno da sfondo.
Di Principe di Condè, quello che dormiva profondamente prima delle battaglie, ce ne è stato uno solo. Io, più modestamente, che non ho voluto tranquillanti nè sonniferi, mi trovo sveglissimo alle tre e mezzo del mattino.

E allora mi alzo dal letto, in pigiama e ciabatte, ed esco dalla stanza. Ovviamente non c'è anima viva. Tutto il corridoio dell'ospedale è illuminato da fioche luci. Ci sono gli infermieri di servizio, ma non mi prestano attenzione. Attraverso tutto il reparto di degenza e vado nella zona dove si affacciano i reparti di riabilitazione: logopedia- audiometria- mappaggi..... Sono nel luogo che nei mesi successivi, se tutto andrà bene, dovrò frequentare con una certa assiduità.
C'è una lunga vetrata di fronte il reparto, che dà sull'esterno. Mi appoggio alla balaustra e guardo fuori, nella notte color inchiostro, con le luci lungo le strade che sembrano tremolare.
Le ombre dei palazzi e degli alberi si stagliano immobili su uno sfondo di nuvole.

E io mi domando cosa sto a fare alle 3.30 del mattino, in pigiama, nel silenzio assoluto, a centinaia di chilometri da casa, dentro un ospedale, fissando attraverso una vetrata per guardare un panorama notturno.

E penso (penso troppo, lo so) che sinceramente non pensavo che sarei arrivato a questo punto, che queste cose capitano sempre agli altri, mai a sè stessi, penso che la mia vita sta per cambiare, penso che ancora adesso, a poche ore dall'intervento, non provo paura, penso che nella vita avevo tanti sogni, tanti desideri, e chissà se li riuscirò mai a realizzare, penso che chissà se riuscirò a mettere su una famiglia, penso a cosa sarebbe stato avere un figlio che dice papà e io che non lo sento e non posso rispondergli, penso quante umiliazioni ho subito in quaranta anni, ma anche quante soddisfazioni, penso che forse ormai sono vecchio e la mia vita è ormai andata, penso che ancora posso combinare qualcosa di buono.

Penso a cosa Dio ha voluto, e vuole ancor oggi da me. E se magari non sia stato lui ad avermi portato fin qui.

Sono le quattro del mattino, mi stacco dalla balaustra e torno nella mia stanza.
Ma prima entro in bagno, accendo la luce e tiro fuori la macchina fotografica.
E' l'ultima volta che vedo, che sento il mio orecchio "al naturale", sono questi gli ultimi momenti che indosso l'apparecchio acustico, dopo quasi quarantanni di onorato servizio. Non lo metterò mai più.
...Onore delle armi, vecchio mio, hai fatto il tuo lavoro magnificamente...finchè hai potuto.
Mi scatto una foto di profilo, con l'orecchio e l'apparecchio acustico in bella mostra.

Torno ad dormire. Manca poco ormai.

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